22 marzo 1986 Libertà cristiana e liberazione 22 marzo 1986
Istruzione Libertatis Conscientia su la libertà cristiana e la liberazione.
La coscienza della libertà e della dignità dell’uomo, congiunta con l’affermazione dei diritti inalienabili della persona e dei popoli, è una delle caratteristiche salienti del nostro tempo. Ora, la libertà esige determinate condizioni di ordine economico, sociale, politico e culturale, che ne rendano possibile il pieno esercizio. La viva percezione degli ostacoli, che le impediscono di realizzarsi ed offendono la dignità umana, è all’origine delle potenti aspirazioni alla liberazione che travagliano il nostro mondo…
“La verità ci rende liberi”
Introduzione
Aspirazioni alla liberazione
1. La coscienza della libertà e della dignità dell’uomo, congiunta con l’affermazione dei diritti inalienabili della persona e dei popoli, è una delle caratteristiche salienti del nostro tempo. Ora, la libertà esige determinate condizioni di ordine economico, sociale, politico e culturale, che ne rendano possibile il pieno esercizio. La viva percezione degli ostacoli, che le impediscono di realizzarsi ed offendono la dignità umana, è all’origine delle potenti aspirazioni alla liberazione che travagliano il nostro mondo.
La Chiesa di Cristo fa sue tali aspirazioni, esercitando il proprio discernimento alla luce del Vangelo, che per sua stessa natura è messaggio di libertà e di liberazione. In effetti, quelle aspirazioni assumono a volte, sul piano teorico e pratico, espressioni che non sempre sono conformi alla verità dell’uomo, quale si manifesta alla luce della sua creazione e redenzione. È questo il motivo per cui la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario attirare l’attenzione su alcune “deviazioni o rischi di deviazione, pericolosi per la fede e per la vita cristiana”. (1) Lungi dall’essere sorpassati, tali richiami appaiono ogni giorno più opportuni e pertinenti.
Fine dell’Istruzione
2. L’Istruzione “Libertatis Nuntius” su alcuni aspetti della teologia della liberazione annunciava l’intenzione della Congregazione di pubblicare un secondo documento, che avrebbe messo in evidenza i principali elementi della dottrina cristiana sulla libertà e sulla liberazione. La presente Istruzione risponde a tale intenzione. Tra i due documenti esiste un rapporto organico: essi devono essere letti l’uno alla luce dell’altro. Su questo tema, che si trova al centro stesso del messaggio evangelico, il magistero della Chiesa si è pronunciato in numerose occasioni. (2) Il presente documento si limita a indicarne i principali aspetti teorici e pratici. Quanto alle applicazioni concernenti le diverse situazioni locali, spetta alle Chiese particolari, in comunione tra loro e con la Sede di Pietro, di provvedervi direttamente. (3)
Il tema della libertà e della liberazione ha un’evidente portata ecumenica. In effetti, esso appartiene al patrimonio tradizionale delle Chiese e comunità ecclesiali. Perciò, questo documento può confortare la testimonianza e l’azione di tutti i discepoli di Cristo, chiamati a rispondere alle grandi sfide del nostro tempo.
La verità che ci libera
3. La parola di Gesù: “La verità vi farà liberi” (Gv 8, 32) deve illuminare e guidare in questo campo ogni riflessione teologica e ogni decisione pastorale.
Questa verità, che viene da Dio, ha il proprio centro in Gesù Cristo, Salvatore del mondo. (4) Da lui, che è “la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6), la Chiesa riceve ciò che offre agli uomini. Dal mistero del Verbo incarnato e redentore del mondo essa attinge la verità sul Padre e sul suo amore per noi, come anche la verità sull’uomo e sulla sua libertà.
Mediante la sua croce e la sua risurrezione, Cristo ha operato la nostra redenzione che è liberazione nel senso più forte, in quanto ci ha liberati dal male più radicale, cioè dal peccato e dal potere della morte. Quando la Chiesa, ammaestrata dal suo Signore, fa salire la propria preghiera verso il Padre: “Liberaci dal male”, essa implora che il mistero della salvezza agisca con potenza nella nostra esistenza quotidiana. Essa sa che la croce redentrice è veramente la fonte della luce e della vita e il centro della storia. La verità, che le arde in cuore, la spinge a proclamare la buona novella e a distribuirne i frutti di vita mediante i sacramenti. Da Cristo redentore prendono avvio il suo pensiero e la sua azione quando, davanti ai drammi che dilaniano il mondo, essa riflette sul significato e sulle vie della liberazione e della vera libertà.
La verità, a cominciare dalla verità sulla redenzione, che sta al cuore del mistero della fede, è così la radice e la regola della libertà, il fondamento e la misura di ogni azione liberatrice.
La verità, condizione di libertà
4. L’apertura alla pienezza della verità s’impone alla coscienza morale dell’uomo, egli deve cercarla ed esser pronto ad accoglierla, quando essa a lui si presenta.
Secondo l’ordine di Cristo Signore, (5) la verità evangelica deve essere presentata a tutti gli uomini, e questi hanno diritto a che essa sia loro proposta. Il suo annuncio, nella forza dello Spirito, comporta il pieno rispetto della libertà di ciascuno e l’esclusione di qualsiasi forma di costrizione e di pressione. (6)
Lo Spirito Santo introduce la Chiesa e i discepoli di Cristo Gesù “alla verità tutta intera” (Gv 16, 13). Egli dirige il corso dei tempi e “rinnova la faccia della terra” (Sal 104, 30). È lui che è presente nella maturazione d’una coscienza più rispettosa della dignità della persona umana. (7) Lo Spirito Santo è all’origine del coraggio, dell’audacia e dell’eroismo: “Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2 Cor 3, 17).
Capitolo primo
La condizione della libertà nel mondo contemporaneo
I. Conquiste e minacce del moderno processo di liberazione
L’eredità del cristianesimo
5. Rivelando all’uomo la sua qualità di persona libera, chiamata ad entrare in comunione con Dio, il Vangelo di Gesù Cristo ha suscitato una presa di coscienza delle profondità, fino allora insospettate, della libertà umana.
Così la ricerca della libertà e l’aspirazione alla liberazione, che sono tra i principali segni dei tempi nel mondo contemporaneo, hanno la loro prima radice nell’eredità cristiana. Ciò resta vero anche là dove esse assumono forme aberranti e giungono a opporsi alla visione cristiana dell’uomo e del suo destino. Senza questo riferimento al Vangelo, la storia dei secoli recenti in Occidente resta incomprensibile.
L’epoca moderna
6. Fin dall’alba dei tempi moderni, nel Rinascimento, il ritorno all’antichità in filosofia e nelle scienze naturali doveva – così si pensava – permettere all’uomo di conquistare la libertà di pensiero e di azione, grazie alla conoscenza e al dominio delle leggi della natura.
D’altra parte, Lutero, partendo dalla sua lettura di San Paolo, intendeva lottare per la liberazione dal giogo della legge, rappresentato ai suoi occhi dalla Chiesa del suo tempo.
Ma è soprattutto nel secolo dell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese che il richiamo alla libertà risuonò in tutta la sua forza. Da allora, molti guardano alla storia futura come ad un irresistibile processo di liberazione, che deve condurre ad un’era in cui l’uomo, finalmente del tutto libero, potrà godere la felicità fin da questa terra.
Verso il dominio della natura
7. Nella prospettiva d’una tale ideologia di progresso, l’uomo intendeva farsi padrone della natura. La schiavitù che aveva subìto fino a quel momento, poggiava sull’ignoranza e sui pregiudizi. Strappando alla natura i suoi segreti, l’uomo l’avrebbe sottomessa al proprio servizio. In tal modo, la conquista della libertà costituiva lo scopo perseguito attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnica. Gli sforzi effettuati hanno portato a notevoli successi. Se l’uomo non è al riparo dalle catastrofi naturali, numerose minacce della natura sono state allontanate. Il nutrimento è garantito ad un numero crescente di individui. Le possibilità di trasporto e di commercio favoriscono lo scambio delle risorse alimentari, delle materie prime, della forza-lavoro, delle capacità tecniche, di modo che per gli esseri umani può essere ragionevolmente intravista un’esistenza dignitosa e sottratta alla miseria.
Conquiste sociali e politiche
8. Il moderno movimento di liberazione s’era proposto un traguardo politico e sociale. Esso doveva porre fine al dominio dell’uomo sull’uomo e promuovere l’uguaglianza e la fraternità di tutti gli uomini. Che anche a tale riguardo siano stati raggiunti risultati positivi, è innegabile. La schiavitù e l’asservimento legali sono stati aboliti.
Il diritto per tutti alla cultura ha fatto significativi progressi. In numerosi Paesi la legge riconosce la parità tra l’uomo e la donna, la partecipazione di tutti i cittadini all’esercizio del potere politico e gli stessi diritti per tutti. Il razzismo è rifiutato, come contrario al diritto ed alla giustizia. La formulazione dei diritti dell’uomo significa una coscienza più viva della dignità di tutti gli uomini. In confronto con i precedenti sistemi di dominio, le affermazioni della libertà e dell’uguaglianza in numerose società sono innegabili.
Libertà del pensiero e del volere
9. Infine e soprattutto, il moderno movimento di liberazione doveva apportare all’uomo la libertà interiore, sotto forma di libertà di pensiero e di libertà del volere. Esso intendeva liberare l’uomo dalla superstizione e dalle paure ancestrali, avvertite come altrettanti ostacoli al suo sviluppo. Si proponeva di dargli il coraggio e l’audacia di servirsi della propria ragione, senza che la paura lo trattenesse davanti alle frontiere dell’ignoto. Così, specialmente nelle scienze storiche e nelle scienze umane, s’è sviluppata una nuova conoscenza dell’uomo, chiamata ad aiutarlo a comprendersi meglio in ciò che concerne la propria formazione personale o le condizioni fondamentali del costituirsi della comunità.
Ambiguità del moderno processo di liberazione
10. Tuttavia, sia che si tratti della conquista della natura, della vita sociale e politica o del dominio dell’uomo su se stesso, sul piano individuale e collettivo, ciascuno può constatare non soltanto che i progressi realizzati sono lungi dal corrispondere alle ambizioni iniziali, ma anche che nuove minacce, nuove schiavitù e nuovi terrori sono sorti proprio mentre si sviluppava il moderno movimento di liberazione. C’è in questo il segno che gravi ambiguità circa il senso stesso della libertà hanno fin dal suo inizio, intaccato tale movimento dall’interno.
L’uomo minacciato dal suo dominio della natura
11. È così che l’uomo, man mano che si liberava dalle minacce della natura, ha cominciato a provare una paura crescente dinanzi a se stesso. La tecnica, assoggettando sempre più la natura, rischia di distruggere i fondamenti del nostro stesso avvenire, di modo che l’umanità di oggi diventa la nemica delle generazioni future. Mentre si imbrigliano totalmente con una potenza cieca le forze della natura, non si sta forse distruggendo la libertà degli uomini di domani? Quali forze possono proteggere l’uomo dall’asservimento derivante dalla sua stessa dominazione? Si rende necessaria una capacità tutta nuova di libertà e di liberazione, che esige un processo di liberazione interamente rinnovato.
Pericoli della potenza tecnologica
12. La forza liberatrice della conoscenza scientifica si oggettivizza nelle grandi realizzazioni tecnologiche. Chi dispone delle tecnologie, possiede il potere sulla terra e sugli uomini. Di qui son nate forme, fino ad ora sconosciute, di disuguaglianza tra i possessori del sapere e i semplici fruitori della tecnica. Il nuovo potere tecnologico è legato al potere economico e porta alla sua concentrazione. Così, all’interno dei popoli come tra i popoli, si sono formati rapporti di dipendenza che, nel corso degli ultimi vent’anni sono stati occasione per una nuova rivendicazione di liberazione. Come impedire che la potenza tecnologica divenga una potenza oppressiva di gruppi umani o di interi popoli?
Individualismo e collettivismo
13. Nel campo delle conquiste sociali e politiche, una delle ambiguità fondamentali dell’affermazione della libertà durante il periodo dell’Illuminismo si rifà alla concezione del soggetto di tale libertà, come individuo sufficiente a se stesso e avente come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri. L’ideologia individualista, ispirata da questa concezione dell’uomo, ha favorito la diseguale ripartizione delle ricchezze agli inizi dell’era industriale, a tal punto che i lavoratori si sono trovati esclusi dall’accesso ai beni essenziali, che avevano contribuito a produrre ed ai quali avevano diritto. Di qui sono nati potenti movimenti di liberazione dalla miseria, che la società industriale aveva mantenuto.
Cristiani, sia laici che pastori, non hanno mancato di lottare per un equo riconoscimento dei legittimi diritti dei lavoratori. In favore di questa causa il magistero della Chiesa a più riprese ha levato la sua voce.
Il più delle volte, tuttavia, la giusta rivendicazione del movimento operaio ha condotto a nuove forme di asservimento, perché s’ispirava a concezioni che, ignorando la vocazione trascendente della persona umana, assegnavano all’uomo un fine soltanto terreno. Tale rivendicazione in alcuni casi è stata orientata verso progetti collettivistici, che dovevano generare ingiustizie tanto gravi quanto quelle alle quali intendevano porre fine.
Nuove forme di oppressione
14. E così che la nostra epoca ha visto nascere i sistemi totalitari e forme di tirannia, che non sarebbero stati possibili nell’epoca precedente al grande sviluppo tecnologico. Da una parte, la perfezione tecnica è stata applicata ai genocidi. D’altra parte, attraverso la pratica del terrorismo, che provoca la morte di tante persone innocenti, alcune minoranze cercano di tenere in scacco intere nazioni.
Oggi il controllo può insinuarsi fino nell’interiorità degli individui; e le stesse dipendenze, create dai sistemi di previdenza, possono costituire potenziali minacce di oppressione. Una falsa liberazione dalle costrizioni della società viene ricercata nel ricorso alla droga, che in tutto il mondo porta molti giovani all’autodistruzione e getta famiglie intere nell’angoscia e nel dolore.
Pericolo di distruzione totale
15. Il riconoscimento di un ordine giuridico, come garanzia dei rapporti all’interno della grande famiglia dei popoli, s’indebolisce ogni giorno di più. Quando la fiducia nel diritto non sembra offrire più una protezione sufficiente, la sicurezza e la pace sono ricercate in una minaccia reciproca, che diviene un pericolo per tutta l’umanità. Le forze che dovrebbero servire allo sviluppo della libertà servono ad aumentare le minacce. Gli ordigni di morte, che oggi tra loro si oppongono, sono capaci di distruggere ogni vita umana sulla terra.
Nuovi rapporti d’ineguaglianza
16. Tra le nazioni dotate di potenza e le nazioni che ne sono prive si sono instaurati nuovi rapporti di disuguaglianza e di oppressione. La ricerca del proprio interesse sembra essere la regola delle relazioni internazionali, senza che si prenda in considerazione il bene comune dell’umanità.
L’equilibrio interno delle nazioni povere è rotto dall’importazioni di armi, con la quale si introduce un fattore di divisione, che porta al dominio di un gruppo su un altro. Quali forze potrebbero eliminare il ricorso sistematico alle armi e restituire al diritto la sua autorità?
Emancipazione delle nazioni giovani
17. È nel contesto della disuguaglianza nei rapporti di potenza che sono apparsi i movimenti di emancipazione delle nazioni giovani, le quali in generale sono anche nazioni povere, ancora sottomesse fino ad epoca recente alla dominazione coloniale. Ma troppo spesso il popolo è defraudato dell’indipendenza, duramente conquistata, da regimi o tirannie senza scrupoli, che irridono impunemente ai diritti dell’uomo. Il popolo, ridotto in tal modo all’impotenza, non fa che cambiare padrone.
Ciò non toglie che uno dei fenomeni salienti del nostro tempo, a livello di interi continenti, sia il risveglio della coscienza del popolo che, curvo sotto il peso di una miseria secolare, aspira ad una vita nella dignità e nella giustizia, ed è pronto a combattere per la propria libertà.
La morale e Dio, ostacoli alla liberazione?
18. Per quanto riguarda il movimento moderno di liberazione interiore dell’uomo, si deve constatare che lo sforzo inteso a liberare il pensiero e la volontà dai loro limiti si è spinto fino a ritenere che la moralità, come tale, costituisca un limite irragionevole che l’uomo deve superare, se vuole divenire veramente padrone di se stesso.
Di più ancora, per molti Dio stesso sarebbe l’alienazione specifica dell’uomo. Tra l’affermazione di Dio e la libertà umana esisterebbe una radicale incompatibilità: proprio rifiutando la fede in Dio, l’uomo diverrebbe veramente libero.
Interrogativi angosciosi
19. Sta qui la radice delle tragedie, che accompagnano la storia moderna della libertà. Perché questa storia, nonostante le grandi conquiste, che rimangono peraltro sempre fragili, registra frequenti ricadute nell’alienazione e vede sorgere nuove schiavitù? Perché movimenti di liberazione, che hanno già suscitato immense speranze, sfociano poi in regimi per i quali la libertà dei cittadini, (8) a cominciare dalla prima di tali libertà che è la libertà religiosa, (9) costituisce il nemico numero uno?
Quando l’uomo vuole liberarsi dalla legge morale e divenire indipendente da Dio, lungi dal conquistare la propria libertà, la distrugge. Sottraendosi al metro della verità, egli diventa preda dell’arbitrio; tra gli uomini sono aboliti i rapporti fraterni per far posto al terrore, all’odio e alla paura.
Contagiato da errori mortali circa la condizione dell’uomo e della sua libertà, il grande movimento moderno di liberazione resta ambiguo: esso è carico, ad un tempo, di promesse di vera libertà e di minacce di mortali asservimenti.
II. La Libertà nellíesperienza del popolo di Dio
Chiesa e libertà
20. Proprio perché cosciente di questa mortale ambiguità, la Chiesa mediante il suo magistero, ha levato la voce nel corso degli ultimi secoli, per mettere in guardia contro deviazioni che rischiavano di stornare lo slancio liberatore verso amari disinganni. Sul momento essa fu spesso incompresa. A distanza di tempo, però, è possibile rendere giustizia al suo discernimento.
È in nome della verità dell’uomo, creato ad immagine di Dio, che la Chiesa è intervenuta. (10) Ciononostante, la si accusa di essere essa stessa un ostacolo sulla via della liberazione. La sua costituzione gerarchica si opporrebbe all’eguaglianza, e il suo magistero si opporrebbe alla libertà di pensiero. Certo, ci sono stati errori di giudizio o gravi omissioni, di cui i cristiani si sono resi responsabili nel corso dei secoli. (11) Ma tali obiezioni misconoscono la vera natura delle cose. La diversità dei carismi nel popolo di Dio, trattandosi di carismi di servizio, non si oppone all’eguale dignità delle persone ed alla loro comune vocazione alla santità.
La libertà di pensiero, come condizione di ricerca della verità in tutti i settori del sapere umano, non significa che la ragione umana debba chiudersi alla luce della Rivelazione, il cui deposito Cristo ha affidato alla sua Chiesa. Aprendosi alla verità divina, la ragione creata, sperimenta una fioritura e un perfezionamento, che costituiscono una forma eminente della libertà. D’altra parte, il Concilio Vaticano II ha riconosciuto pienamente la legittima autonomia delle scienze, (12) come anche delle attività di ordine politico. (13)
La libertà dei piccoli e dei poveri
21. Uno dei principali errori, che ha pesantemente gravato, fin dall’età dell’Illuminismo, sul processo di liberazione, dipende dalla convinzione, largamente condivisa, secondo cui i progressi realizzati nel campo delle scienze, della tecnica e dell’economia, dovrebbero servire da fondamento alla conquista della libertà. In tal modo si misconosceva la profonda dimensione di questa libertà e delle sue esigenze.
Questa dimensione profonda della libertà, la Chiesa l’ha sempre sperimentata, attraverso la vita di una moltitudine di fedeli, in particolare tra i piccoli ed i poveri. Nella loro fede costoro sanno di essere l’oggetto dell’amore infinito di Dio. Ciascuno di loro può dire: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20b). Questa è la loro dignità, che nessuno dei potenti può loro strappare; questa è la gioia liberatrice, presente in loro. Essi sanno che anche a loro è rivolta la parola di Gesù: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15). Questa partecipazione alla conoscenza di Dio costituisce la loro emancipazione di fronte alle pretese di dominio da parte dei detentori del sapere: “Tutti avete la scienza…, e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri” (1 Gv 20b. 27b). Essi così sono consapevoli di partecipare alla conoscenza più alta, alla quale sia chiamata l’umanità. (14) Essi si sanno amati da Dio, come tutti gli altri e più di tutti gli altri. Essi vivono così nella libertà che scaturisce dalla verità e dall’amore.
Risorse della religiosità popolare
22. Lo stesso senso della fede del popolo di Dio, nella sua devozione piena di speranza verso la croce di Gesù, percepisce la potenza contenuta nel mistero di Cristo redentore. Lungi, dunque, dal disprezzare o dal voler sopprimere le forme di religiosità popolare che questa devozione riveste, bisogna, al contrario, coglierne ed approfondirne tutto il significato e tutte le implicazioni. (15) C’è qui un elemento di fondamentale portata teologica e pastorale: proprio i poveri, oggetto della predilezione divina, comprendono meglio e come d’istinto che la liberazione più radicale, cioè la liberazione dal peccato e dalla morte, è quella compiuta mediante la morte e la risurrezione di Cristo.
Dimensione soteriologica ed etica della liberazione
23. La potenza di questa liberazione penetra e trasforma in profondità l’uomo e la sua storia nella sua attualità presente, e anima il suo slancio escatologico. Il senso primo e fondamentale della liberazione, che così si manifesta, è il senso soteriologico: l’uomo è liberato dalla schiavitù radicale del male e del peccato.
In questa esperienza della salvezza l’uomo scopre il vero senso della sua libertà, poiché la liberazione è restituzione della libertà. Essa è pure educazione della libertà, cioè educazione al retto uso della libertà. Così alla dimensione soteriologica della liberazione viene ad aggiungersi la sua dimensione etica.
Una nuova fase della storia della libertà
24. In gradi diversi il senso della fede, che è all’origine di una esperienza radicale della liberazione e della libertà, ha impregnato la cultura ed i costumi dei popoli cristiani.
Oggi, però, a motivo delle formidabili sfide alle quali l’umanità deve far fronte, è divenuto necessario e urgente, in modo del tutto nuovo, che l’amore di Dio e la libertà nella verità segnino con la loro impronta le relazioni tra gli uomini e tra i popoli ed animino la vita delle culture.
Infatti là dove mancano la verità e l’amore, il processo di liberazione sfocia nella morte di una libertà che avrà perduto ogni suo sostegno.
Una nuova fase della storia della libertà s’apre davanti a noi. Le capacità liberatrici della scienza, della tecnica, del lavoro, dell’economia e dell’azione politica daranno i loro frutti solo se troveranno la loro ispirazione e la loro misura nella verità e nell’amore più forti della sofferenza, rivelati agli uomini da Gesù Cristo.
Capitolo secondo
Vocazione dellíuomo alla libertà e dramma del peccato
I. Primi approcci alla libertà
Una risposta spontanea
25. La risposta spontanea alla domanda: che cosa significa essere libero? è la seguente: libero è colui che può fare solo ciò che vuole senza essere impedito da una costrizione esteriore e che gode, di conseguenza, di una piena indipendenza. Il contrario della libertà sarebbe così la dipendenza della nostra volontà da una volontà estranea.
Ma l’uomo sa sempre ciò che vuole? Può tutto quello che vuole? Limitarsi al proprio io e separarsi dalla volontà altrui è conforme alla natura dell’uomo? Sovente la volontà di un momento non è la volontà reale, e nel medesimo uomo possono coesistere voleri contraddittori. Ma, soprattutto, l’uomo si scontra con i limiti della propria natura: vuole di più di quanto non possa. Così l’ostacolo che si oppone al suo volere non viene sempre dal di fuori, ma dai limiti del suo essere. Appunto per questo, pena la sua distruzione, l’uomo deve imparare ad accordare la sua volontà con la sua natura.
Verità e giustizia, regole della libertà
26. Inoltre, ogni uomo è orientato verso gli altri uomini ed ha bisogno della loro convivenza. Solo imparando a accordare la sua volontà a quella degli altri in vista di un vero bene, egli farà l’apprendistato della rettitudine del volere. È dunque, l’armonia con le esigenze della natura umana che rende umana la volontà stessa. In effetti, questa richiede il criterio della verità ed una giusta relazione con la volontà altrui. Verità e giustizia sono così la misura della vera libertà. Quando si allontana da questo fondamento, l’uomo, scambiando se stesso per Dio, cade nella menzogna e anziché realizzarsi, si distrugge.
Lungi dal compiersi in una totale autarchia dellíio e nell’assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone. Ma perché tali legami siano possibili, ciascuno deve essere personalmente vero.
La libertà non è libertà di fare qualsiasi cosa: è libertà per il bene, nel quale solo risiede la felicità. Il bene è, quindi, il suo scopo. Di conseguenza, l’uomo diventa libero nella misura in cui accede alla conoscenza del vero, e questa conoscenza – e non altre forze quali che siano – guida la sua volontà. La liberazione in vista della conoscenza della verità, che sola diriga la volontà, è condizione necessaria per una libertà degna di questo nome.
II. Libertà e liberazione
Una libertà di creatura
27. In altri termini, la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti e autodeterminazione, comporta immediatamente una relazione con l’ordine etico. Essa trova il suo vero senso nella scelta del bene morale e si manifesta, quindi, come affrancamento dal male morale.
Con la sua azione libera, l’uomo deve tendere verso il bene supremo attraverso i beni conformi alle esigenze della sua natura e alla sua vocazione divina.
Esercitando la sua libertà, egli decide di se stesso e forma se stesso. In questo senso l’uomo è causa di sé, ma è tale in quanto creatura e immagine di Dio. Questa è la verità del suo essere che manifesta, per contrasto, quanto di profondamente erroneo è nelle teorie, che credono di esaltare la libertà dell’uomo o la sua “prassi storica”, facendo di esse il principio assoluto del suo essere e del suo divenire. Tali teorie sono espressioni dell’ateismo o, per la logica loro propria, tendono all’ateismo. Nel medesimo senso vanno l’indifferentismo e l’agnosticismo deliberato. È l’immagine di Dio nell’uomo che fonda la libertà e la dignità della persona umana. (16)
La chiamata del Creatore
28. Creando l’uomo libero, Dio ha impresso in lui la sua immagine e la sua somiglianza. (17) L’uomo avverte la chiamata del suo Creatore nell’inclinazione e nell’aspirazione della sua natura verso il bene e, ancora di più, nella Parola della Rivelazione, che in Cristo è stata pronunciata in modo perfetto. Gli è stato così rivelato che Dio l’ha creato libero, perché potesse mediante la grazia, entrare in amicizia con lui e partecipare alla sua vita.
Una libertà partecipata.
29. L’uomo non ha la sua origine nella propria azione individuale o collettiva, ma nel dono di Dio che l’ha creato. Questa è la prima confessione della nostra fede, che viene a confermare le intuizioni più alte del pensiero umano.
La libertà dell’uomo è una libertà partecipata, e la sua capacità di realizzarsi non è in alcun modo soppressa dalla sua dipendenza nei confronti di Dio. È esattamente la caratteristica dell’ateismo quella di credere a un’opposizione irriducibile tra la causalità di una libertà divina e quella della libertà dell’uomo, come se l’affermazione di Dio significasse la negazione dell’uomo, o come se il di lui intervento nella storia rendesse vani i tentativi di questo. In realtà, è da Dio ed in rapporto a Dio che la libertà umana prende senso e consistenza.
La scelta libera dell’uomo
30. La storia dell’uomo si sviluppa sul fondamento della natura che egli ha ricevuto da Dio, nel libero perseguimento dei fini verso cui lo orientano e lo portano le inclinazioni di questa stessa natura e della grazia divina.
Ma la libertà dell’uomo è limitata e debole. Il suo desiderio può rivolgersi a un bene apparente: scegliendo un falso bene, egli vien meno alla vocazione della sua libertà. L’uomo, col suo libero arbitrio, dispone di sé: egli può fare ciò in un senso positivo o in un senso distruttivo.
Ubbidendo alla legge divina, impressa nella sua coscienza e ricevuta come impulso dello Spirito Santo, l’uomo esercita la vera padronanza di se stesso e realizza così la sua vocazione regale di figlio di Dio “Mediante il servizio di Dio egli regna”. (18) L’autentica libertà è “servizio della giustizia”, mentre invece la scelta della disubbidienza e del male è “schiavitù del peccato”. (19)
Liberazione temporale e libertà
31. Partendo da questa nozione di libertà, si precisa la portata della nozione di liberazione temporale: si tratta dell’insieme dei processi, che mirano a procurare e a garantire le condizioni richieste per l’esercizio di un’autentica libertà umana.
Per se stessa, dunque, la liberazione non produce la libertà dell’uomo. Il senso comune, confermato dal senso cristiano, sa che la libertà, anche quando è soggetta a condizionamenti, non è tuttavia distrutta. Anche uomini, che pur subissero terribili costrizioni, potrebbero riuscire a manifestare la loro libertà e a mettersi in cammino per la loro liberazione. Un processo di liberazione portato a termine può solamente creare delle condizioni migliori per l’esercizio effettivo della libertà. Proprio per questo una liberazione, che non tenga conto della libertà personale di quelli che combattono per essa, è in partenza condannata all’insuccesso.
III. La libertà e la società umana
I diritti dell’uomo e “le libertà”
32. Dio non ha creato l’uomo come un “essere solitario”, ma lo ha voluto come un “essere sociale”. (20) La vita sociale non è, dunque, estrinseca all’uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri. L’uomo appartiene a diverse comunità: familiare, professionale, politica, ed è in seno ad esse che egli deve esercitare la sua libertà responsabile. Un ordine sociale giusto offre all’uomo un aiuto insostituibile per la realizzazione della sua libera personalità. Al contrario, un ordine sociale ingiusto è una minaccia e un ostacolo, che possono compromettere il suo destino.
Nella sfera sociale, la libertà si esprime e si realizza nelle azioni, nelle strutture e nelle istituzioni, grazie alle quali gli uomini comunicano tra loro e organizzano la loro vita in comune. Il pieno sviluppo di una libera personalità, che è per ciascuno un dovere ed un diritto, deve essere aiutato e non già ostacolato dalla società.
C’è qui un’esigenza di natura morale, che ha trovato la sua espressione nella formulazione dei diritti dell’uomo. Alcuni di essi hanno per oggetto ciò che si è convenuto di chiamare “le libertà”, che sono come altrettante modalità nel riconoscere a ciascun essere umano il suo destino trascendente, come anche l’inviolabilità della sua coscienza. (21)
Dimensioni sociali dell’uomo e gloria di Dio
33. La dimensione sociale dell’essere umano riveste anche un altro significato: solamente la pluralità e la ricca diversità degli uomini possono esprimere qualcosa dell’infinita ricchezza di Dio.
Infine, questa dimensione è destinata a trovare il suo compimento nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa. È per questo che la vita sociale, nella varietà delle sue forme e nella misura in cui è conforme alla legge divina, costituisce un riflesso della gloria di Dio nel mondo. (22)
IV. Libertà dellíuomo e dominio della natura
Vocazione dell’uomo a “dominare” la natura
34. A motivo della sua dimensione corporale, l’uomo ha bisogno delle risorse del mondo materiale per la sua realizzazione personale e sociale. In questa vocazione a dominare la terra, mettendola al proprio servizio mediante il lavoro, può essere riconosciuto un tratto dell’immagine di Dio. (23) Ma l’intervento umano non è “creatore”; esso s’incontra con una natura materiale, che ha come esso la sua origine in Dio Creatore e di cui l’uomo è stato costituito il “nobile e saggio custode”. (24)
L’uomo, padrone delle sue attività
35. Le trasformazioni tecniche e economiche si ripercuotono sull’organizzazione della vita sociale; esse non possono non incidere, in una certa misura, sulla vita culturale e sulla stessa vita religiosa.
Tuttavia, mediante la sua libertà, l’uomo resta padrone della propria attività. Le grandi e rapide trasformazioni dell’epoca contemporanea gli pongono una sfida drammatica: quella della padronanza e del controllo, mediante la sua ragione e la sua libertà delle forze che egli attiva per il servizio delle vere finalità umane.
Scoperte scientifiche e progresso morale
36. È, dunque, proprio della libertà, ben orientata, di fare in modo che le conquiste scientifiche e tecniche, la ricerca della loro efficacia, i prodotti del lavoro e le strutture stesse dell’organizzazione economica e sociale non siano sottomesse a dei progetti che le priverebbero delle loro finalità umane e le rivolgerebbero contro l’uomo stesso.
L’attività scientifica e l’attività tecnica implicano, ciascuna, delle esigenze specifiche. Tuttavia, esse acquistano il loro significato e il loro valore propriamente umano solo quando sono subordinate ai princìpi morali. Queste esigenze devono essere rispettate; ma voler loro attribuire un’autonomia assoluta e necessitante, non conforme alla natura delle cose, significa immettersi in una via pericolosa per l’autentica libertà dell’uomo.
V. Il peccato, fonte di divisione e di oppressione
Il peccato, separazione da Dio
37. Dio chiama l’uomo alla libertà. In ciascuno è viva la volontà di essere libero. Eppure questa volontà sfocia quasi sempre nella schiavitù e nell’oppressione. Ogni impegno per la liberazione e la libertà suppone, dunque, che sia stato affrontato questo drammatico paradosso.
Il peccato dell’uomo, cioè la sua rottura con Dio, è la ragione radicale delle tragedie che segnano la storia della libertà. Per comprendere questo, molti nostri contemporanei devono riscoprire, innanzitutto, il senso del peccato.
Nella volontà di libertà dell’uomo si nasconde la tentazione di rinnegare la sua propria natura. In quanto intende tutto volere e potere, dimenticando così di essere limitato e creato, egli pretende di essere un dio. “Voi sarete come Dio” (Gn 3, 5): questa parola del serpente esprime l’essenza della tentazione dell’uomo, ed implica lo stravolgimento del vero senso della sua libertà. Questa è la profonda natura del peccato: l’uomo si stacca dalla verità, mettendo la sua volontà al di sopra di essa. Volendo liberarsi di Dio e essere lui stesso dio, egli si inganna e si distrugge. Egli si aliena da se stesso.
In questa volontà di essere dio e di tutto sottoporre al proprio beneplacito si nasconde uno stravolgimento dell’idea stessa di Dio. Dio è amore e verità nella pienezza del dono reciproco delle Persone divine. Sì, è vero: l’uomo è chiamato a essere come Dio. Tuttavia, egli diventa simile a Dio non nell’arbitrarietà del suo beneplacito, ma nella misura in cui riconosce che la verità e l’amore sono allo stesso tempo principio e fine della sua libertà.
Il peccato, radice delle alienazioni, umane
38. Peccando, l’uomo mente a se stesso e si separa dalla sua verità. Cercando la totale autonomia e l’autarchia, egli nega Dio e nega se stesso. L’alienazione in rapporto alla verità del suo essere di creatura, amata da Dio, è la radice di tutte le altre alienazioni.
Negando o tentando di negare Dio, suo principio e suo fine, l’uomo altera profondamente il suo ordine e equilibrio interiore, quello della società e anche quello della creazione visibile. (25)
È in connessione col peccato che la Scrittura considera l’insieme delle calamità che opprimono l’uomo nel suo essere individuale e sociale.
Essa dimostra che tutto il corso della storia mantiene un legame misterioso con l’agire dell’uomo, il quale, fin dall’origine, ha abusato della sua libertà, ergendosi contro Dio e cercando di raggiungere i propri fini al di fuori di lui. (26) Nel carattere affliggente del lavoro e della maternità, nel dominio dell’uomo sulla donna e nella morte, la Genesi, indica le conseguenze di quel peccato originale. Così, gli uomini privati della grazia divina hanno ereditato una comune natura mortale, incapace di fissarsi nel bene e inclinata alla concupiscenza. (27)
Idolatria e disordine
39. L’idolatria è la forma estrema del disordine generato dal peccato. Il sostituire all’adorazione del Dio vivo il culto di una creatura altera le relazioni tra gli uomini ed implica diverse specie di oppressione.
Il misconoscimento colpevole di Dio scatena le passioni, che sono causa di squilibrio e di conflitti nell’intimo dell’uomo. Di qui derivano inevitabilmente i disordini che colpiscono la sfera familiare e sociale: permissivismo sessuale, ingiustizia, omicidio. È in questo modo che l’apostolo Paolo descrive il mondo pagano, portato dall’idolatria alle peggiori aberrazioni, che rovinano l’individuo e la società. (28)
Già prima di lui i Profeti e i Sapienti di Israele ravvisavano nelle disgrazie del popolo un castigo del suo peccato di idolatria, e nel “cuore colmo di malizia” (Qo 9, 3) (29) la fonte della radicale schiavitù dell’uomo e delle oppressioni, che egli fa subire ai suoi simili.
Disprezzo di Dio e conversione alla creatura
40. La tradizione cristiana, presso i Padri ed i dottori della Chiesa, ha esplicitato questa dottrina della Scrittura sul peccato. Per essa il peccato è disprezzo di Dio (contemptus Dei), che comporta la volontà di sfuggire al rapporto di dipendenza del servitore nei confronti del suo Signore o, piuttosto, del figlio nei confronti del Padre. Peccando, l’uomo intende liberarsi da Dio, ma, in realtà si rende schiavo. Infatti, rifiutando Dio, infrange lo slancio della sua aspirazione all’infinito e della sua vocazione a partecipare della vita divina. Per questo il suo cuore è in balìa dell’inquietudine.
L’uomo peccatore, che rifiuta di aderire a Dio, è portato necessariamente a attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura (conversio ad creaturam) egli concentra su questa il suo desiderio insoddisfatto di infinito. Se non che, i beni creati sono limitati, per cui il suo cuore trascorre dall’uno all’altro, sempre in cerca di un’impossibile pace.
In realtà, quando attribuisce alle creature un valore di infinità, l’uomo perde il senso del suo essere creatura. Pretende di trovare il suo centro e la sua unità in se stesso. L’amore disordinato di sé è l’altra faccia del disprezzo di Dio. L’uomo intende allora appoggiarsi unicamente su di sé, vuole realizzarsi da sé ed essere autosufficiente nella propria immanenza. (30)
L’ateismo falsa emancipazione della libertà
41. Ciò diviene particolarmente evidente, quando il peccatore pensa di non poter affermare la propria libertà se non negando esplicitamente Dio. La dipendenza della creatura nei confronti del Creatore, o quella della coscienza morale nei confronti della legge divina, sarebbero per lui forme di intollerabile schiavitù. L’ateismo è, dunque, ai suoi occhi la vera forma di emancipazione e di liberazione dell’uomo, mentre la religione, o anche il riconoscimento di una legge morale costituirebbero delle alienazioni. L’uomo vuole allora decidere sovranamente del bene e del male, o anche dei valori e, con la stessa dinamica, rigetta a un tempo l’idea di Dio e l’idea di peccato, attraverso l’audacia della trasgressione egli pretende di diventare adulto e libero, e rivendica tale emancipazione non solamente per sé, ma per l’umanità intera.
Peccato e strutture d’ingiustizia
42. Divenuto centro di sé stesso, l’uomo peccatore tende a affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare.
Capitolo terzo
Liberazione e libertà cristiana
Vangelo, libertà e liberazione
43. La storia umana, contrassegnata dall’esperienza del peccato, ci condurrebbe alla disperazione, se Dio avesse abbandonato la sua creatura a se stessa. Ma le promesse divine di liberazione e il loro vittorioso adempimento nella morte e nella risurrezione di Cristo sono il fondamento della “beata speranza”, donde la comunità cristiana attinge la forza per agire risolutamente ed efficacemente al servizio dell’amore, della giustizia e della pace. Il Vangelo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione, (31) che porta a compimento la speranza di Israele, fondata sulla parola dei Profeti. Questa si appoggia sull’azione di Jahvé che, prima ancora di intervenire come “goèl”, (32) liberatore, redentore, salvatore del suo popolo, lo aveva scelto gratuitamente in Abramo. (33)
I. La liberazione dellíAntico Testamento
L’Esodo e gli interventi liberatori di Jahvé
44. Nell’Antico Testamento l’azione liberatrice di Jahvé, che serve da modello e da riferimento per tutte le altre, è l’esodo dall’Egitto, “casa di schiavitù”. Se Dio strappa il suo popolo da una dura schiavitù economica, politica e culturale, è al fine di farne, con l’alleanza del Sinai, “un regno di sacerdoti ed una nazione santa” (Es 19, 6). Dio vuol essere adorato da uomini liberi. Tutte le ulteriori liberazioni del popolo di Israele tendono a ricondurlo a questa pienezza di libertà, che non può trovare se non nella comunione col suo Dio.
L’avvenimento più grande e fondamentale dell’esodo, dunque, ha un significato insieme religioso e politico, Dio libera il suo popolo, gli dà una discendenza, una terra, una legge, ma all’interno di un alleanza ed in vista di un’alleanza. Non si può, dunque, isolare per se stesso l’aspetto politico; è necessario considerarlo alla luce del disegno di natura religiosa, nel quale è integrato. (34)
La legge di Dio
45. Nel suo disegno salvifico Dio ha dato a Israele la sua legge. Essa conteneva, insieme con i precetti morali universali del Decalogo, delle norme cultuali e civili, che dovevano regolare la vita del popolo scelto da Dio per essere il suo testimone fra le nazioni.
In questo complesso di leggi, l’amore di Dio sopra ogni cosa (35) e del prossimo come se stessi (36) costituisce già il centro. Ma la giustizia che deve regolare i rapporti tra gli uomini, e il diritto, che ne è l’espressione giuridica, appartengono anch’essi alla trama più caratteristica della legge biblica. I Codici e la predicazione dei Profeti, come anche i Salmi, si riferiscono costantemente all’una e all’altro, frequentemente considerati insieme. (37) È in questo contesto che si deve apprezzare la cura che la legge biblica ha per i poveri, i bisognosi, la vedova e l’orfano: si deve rendere a essi giustizia secondo l’ordinamento giuridico del popolo di Dio. (38) Esistono già, dunque, l’ideale e l’abbozzo di una società centrata sul culto del Signore e fondata sulla giustizia e sul diritto, animati dall’amore.
L’insegnamento dei Profeti
46. I Profeti non cessano di ricordare a Israele le esigenze della legge dell’alleanza. Essi denunciano nel cuore indurito dell’uomo la fonte delle ripetute trasgressioni e annunciano un’alleanza nuova, nella quale Dio cambierà i cuori imprimendovi la legge del suo Spirito. (39)
Annunciando e preparando questa èra nuova, i Profeti denunciano con forza l’ingiustizia perpetrata contro i poveri; in loro favore essi si fanno i portavoce di Dio. Jahvé, è il “ricorso” supremo dei piccoli e degli oppressi, e il Messia avrà come missione quella di prendere le loro difese. (40)
La condizione del povero è una condizione di ingiustizia, contraria all’alleanza. Per questo motivo la legge dell’alleanza lo protegge con dei precetti, che riflettono il medesimo atteggiamento tenuto da Dio, quando liberò Israele dalla schiavitù d’Egitto. (41) L’ingiustizia verso i piccoli e i poveri è un grave peccato, che rompe la comunione con Jahvé.
I “poveri di Jahvé”
47. Partendo da tutte le forme di povertà, di ingiustizia subìta, di afflizione, i “giusti” e i “poveri di Jahvé” fanno salire verso di lui la loro supplica nei Salmi. (42) Essi soffrono nel loro cuore per la schiavitù, cui il popolo “dalla dura cervice” si è ridotto a causa dei suoi peccati. Essi sopportano la persecuzione, il martirio, la morte, ma vivono nella speranza della liberazione. Al di sopra di tutto, pongono la loro fiducia in Jahvé, al quale raccomandano la loro causa. (43)
I “poveri di Jahvé” sanno che la comunione con lui (44) è il bene più prezioso, in cui l’uomo trova la vera libertà. (45) Per essi il male più tragico è la perdita di tale comunione. Per questo motivo la loro lotta contro l’ingiustizia acquista il suo più profondo significato e la sua efficacia nella volontà di essere liberati dalla schiavitù del peccato.
Alle soglie del Nuovo Testamento
48. Sulla soglia del Nuovo Testamento i “poveri di Jahvé” costituiscono le primizie di un “popolo umile e povero”, che vive nella speranza della liberazione di Israele. (46)
Impersonando questa speranza, Maria oltrepassa la soglia dell’Antico Testamento. Ella annuncia con gioia l’avvento messianico e loda il Signore, che si prepara a liberare il suo popolo. (47) Nel suo cantico di lode alla divina misericordia l’umile Vergine, verso la quale si rivolge spontaneamente e con tanta fiducia il popolo dei poveri, canta il mistero della salvezza e la sua forza di trasformazione. Il senso della fede, così vivo nei piccoli, sa immediatamente riconoscere tutta la ricchezza soteriologica e insieme etica del Magnificat. (48)
II. Significato cristologico dellíAntico Testamento
Alla luce di Cristo
49. L’esodo, l’alleanza, la legge, la voce dei Profeti e la Spiritualità dei “poveri di Jahvé” raggiungono solamente nel Cristo il loro pieno significato.
La Chiesa legge l’Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto per noi. Essa vede se stessa prefigurata nel popolo di Dio dell’antica alleanza, incarnato nel corpo concreto di una particolare nazione, politicamente e culturalmente costituita, che era inserita nella trama della storia come testimone di Jahvé, davanti alle nazioni, fino al compimento del tempo delle preparazioni e delle figure. Nella pienezza dei tempi realizzatasi in Cristo, i figli di Abramo sono chiamati ad entrare con tutte le nazioni nella Chiesa di Cristo, per formare con esse un solo popolo di Dio, spirituale ed universale. (49)
III. La liberazione cristiana
La buona novella annunciata ai poveri
50. Gesù annuncia la buona novella del regno di Dio e chiama gli uomini alla conversione. (50) I “poveri sono evangelizzati” (Mt 11, 5): riprendendo la parola del Profeta, (51) Gesù rivela la sua azione messianica in favore di coloro che attendono la salvezza da Dio.
Più ancora, il Figlio di Dio, che si fece povero per amor nostro, (52) vuol essere riconosciuto nei poveri, in coloro che soffrono o sono perseguitati: (53) “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). (54)
Il mistero pasquale
51. Ma è soprattutto con la forza del suo mistero pasquale che Cristo ci ha liberati. (55) Con la sua obbedienza perfetta sulla croce e con la gloria della risurrezione, l’Agnello di Dio ha tolto il peccato del mondo e ci ha aperto la via della definitiva liberazione.
Col nostro servizio e il nostro amore, ma anche con l’offerta delle nostre prove e sofferenze, noi partecipiamo all’unico sacrificio redentore di Cristo, completando in noi “quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo, ch’è la Chiesa” (Col 1, 24), nell’attesa della risurrezione dei morti.
Grazia, riconciliazione e libertà
52. Il centro dell’esperienza cristiana della libertà sta nella giustificazione per mezzo della grazia della fede e dei sacramenti della Chiesa. Questa grazia ci libera dal peccato e ci introduce nella comunione con Dio. Per mezzo della morte e della risurrezione di Cristo ci è offerto il perdono. L’esperienza della nostra riconciliazione col Padre è frutto dello Spirito Santo. Dio si rivela a noi come Padre di misericordia, davanti al quale ci possiamo presentare con totale fiducia.
Riconciliati con lui (56) e ricevendo quella pace di Cristo, che il mondo non può dare, (57) siamo chiamati ad essere artefici di pace (58) in mezzo a tutti gli uomini.
In Cristo noi possiamo vincere il peccato, e la morte più non ci separa da Dio; essa sarà finalmente distrutta al momento della nostra risurrezione, che è simile a quella di Gesù. (59) Anche il “cosmo”, di cui l’uomo è il centro e il vertice, attende di essere “liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8, 21). Fin da ora Satana è sconfitto; egli, che ha la potenza della morte, è stato ridotto all’impotenza dalla morte di Cristo. (60) Ci sono già dati dei segni, che anticipano la gloria futura.
Lotta contro la schiavitù del peccato
53. La libertà, portata da Cristo nello Spirito Santo, ci ha restituito la capacità, di cui il peccato ci aveva privato, di amare Dio al di sopra di tutto e di rimanere in comunione con lui.
Noi siamo liberati dall’amore disordinato di noi stessi, che è la fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti di dominio tra gli uomini.
Nondimeno, fino al ritorno glorioso del Risorto, il mistero di iniquità è sempre all’opera nel mondo. San Paolo ce ne fa avvertiti: “Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi” (Gal 5, 1). È, dunque, necessario perseverare e lottare per non ricadere sotto il giogo della schiavitù. La nostra esistenza è un combattimento spirituale per una vita da condurre secondo il Vangelo e con le armi di Dio. (61) Ma noi abbiamo ricevuto la forza e la certezza della vittoria sul male, vittoria dell’amore di Cristo, a cui nulla può resistere. (62)
Lo Spirito e la legge
54. San Paolo proclama il dono della nuova legge dello Spirito, in opposizione alla legge della carne o della concupiscenza, che inclina l’uomo al male e lo rende incapace a scegliere il bene. (63) Questa mancanza di armonia e questa debolezza interiore non aboliscono la libertà e la responsabilità dell’uomo, ma ne compromettono l’esercizio per il bene. È questo che fa dire all’Apostolo: “Non faccio il bene che voglio, e compio il male che non voglio” (Rm 7, 19). Giustamente, dunque, egli parla della “schiavitù del peccato” e della “schiavitù della legge”, perché all’uomo peccatore appare opprimente la legge, che egli non può interiorizzare.
Tuttavia, san Paolo riconosce che la legge conserva il suo valore per l’uomo e per il cristiano, perché “essa è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento” (Rm 7, 12). (64) Egli riafferma il Decalogo, mettendolo in rapporto con la carità, che ne è la vera pienezza. (65) Inoltre, egli sa bene che è necessario un ordine giuridico per lo sviluppo della vita sociale. (66) La vera novità da lui proclamata è che Dio ci ha donato suo Figlio “perché la giustizia della legge si adempisse in noi” (Rm 8, 4).
Lo stesso Signore Gesù ha enunciato i comandamenti della nuova legge nel discorso della montagna; col suo sacrificio offerto sulla croce e la sua gloriosa risurrezione ha vinto le potenze del peccato e ci ha ottenuto la grazia dello Spirito Santo, che rende possibile la perfetta osservanza della legge di Dio (67) e l’accesso al perdono, se ricadiamo nel peccato. Lo Spirito, che abita nei nostri cuori, è la fonte della vera libertà.
Col sacrificio di Cristo le prescrizioni cultuali dell’Antico Testamento sono state abrogate. Quanto alle norme giuridiche della vita sociale e politica di Israele, la Chiesa apostolica, quale regno di Dio inaugurato sulla terra, ha avuto coscienza di non esser più tenuta a osservarle. Ciò ha fatto comprendere alla comunità cristiana che le leggi e gli atti delle autorità dei diversi popoli, benché legittimi e degni di obbedienza, (68) tuttavia non avrebbero mai potuto, in quanto procedenti da esse, arrogarsi un carattere sacro. Alla luce del Vangelo molte leggi e strutture appaiono portare il segno del peccato, di cui prolungano l’oppressiva influenza nella società.
IV. Il comandamento nuovo
L’amore, dono dello spirito
55. Líamore di Dio, diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo, implica líamore del prossimo. Ricordando il primo comandamento, Gesù aggiunge subito: “E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i Profeti” (Mt 22, 39-40). E san Paolo afferma che la carità è il pieno compimento della legge. (69)
L’amore del prossimo non conosce limiti, estendendosi ai nemici e ai persecutori. La perfezione, immagine di quella del Padre, alla quale il discepolo deve tendere, risiede nella misericordia. (70) La parabola del buon Samaritano dimostra che l’amore compassionevole, che si pone al servizio del prossimo, distrugge i pregiudizi, i quali mettono i gruppi etnici o sociali gli uni contro gli altri. (71) Tutti i libri del Nuovo Testamento documentano la inesauribile ricchezza di sentimenti, di cui è portatore l’amore cristiano del prossimo. (72)
L’amore del prossimo
56. L’amore cristiano, gratuito e universale deriva la sua natura dall’amore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi. “Come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34-35). (73) Questo è il “comandamento nuovo” per i discepoli.
Alla luce di questo comandamento san Giacomo richiama severamente i ricchi al loro dovere, (74) mentre san Giovanni afferma che colui che, disponendo delle ricchezze di questo mondo, chiude il suo cuore al fratello che è in necessità, non può avere dimorante in sé l’amore di Dio. (75) L’amore del fratello è la pietra di paragone dell’amore di Dio: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4, 20). San Paolo sottolinea con vigore il legame che esiste tra la partecipazione al sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo e la condivisione con il fratello, che si trova nel bisogno. (76)
Giustizia e carità
57. L’amore evangelico e la vocazione di figli di Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati, hanno come conseguenza l’esigenza diretta e imperativa del rispetto di ciascun essere umano nei suoi diritti alla vita e alla dignità. Non c’è divario tra l’amore del prossimo e la volontà di giustizia. L’opporli significherebbe snaturare a un tempo l’amore e la giustizia. Più ancora, il senso della misericordia completa quello della giustizia, impedendole di rinchiudersi nel cerchio della vendetta.
Le inique disuguaglianze e le oppressioni di ogni sorta, che colpiscono oggi milioni di uomini e di donne, sono in aperta contraddizione col Vangelo di Cristo e non possono lasciar tranquilla la coscienza di nessun cristiano.
Nella sua docilità allo Spirito, la Chiesa avanza con fedeltà lungo le strade dell’autentica liberazione. I suoi membri hanno coscienza delle proprie manchevolezze e dei ritardi in questa ricerca. Ma una moltitudine di cristiani, fin dal tempo degli Apostoli, ha impegnato le proprie forze e la propria vita per la liberazione da ogni forma di oppressione e per la promozione della dignità umana. L’esperienza dei Santi e l’esempio di tante opere al servizio del prossimo costituiscono uno stimolo e una luce per quelle iniziative liberatrici, che al giorno d’oggi si impongono.
V. La Chiesa, popolo di Dio della nuova Alleanza
Verso la pienezza della libertà
58. Il popolo di Dio della nuova alleanza è la Chiesa di Cristo. La sua legge è il comandamento dell’amore. Nel cuore dei suoi membri lo Spirito abita come in un tempio. Essa è il germe e l’inizio del regno di Dio su questa terra, regno che avrà il suo compimento alla fine dei tempi con la risurrezione dei morti e il rinnovamento di tutta la creazione. (77)
Possedendo così la caparra dello Spirito, (78) il popolo di Dio è condotto verso la pienezza della libertà. La nuova Gerusalemme, che noi attendiamo con fervore, è chiamata a giusto titolo città della libertà nel senso più alto del termine. (79) Allora “Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi: non ci sarà più la morte, né il lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4). La speranza è l’attesa sicura “di nuovi cieli e di una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3, 13).
L’incontro finale con Cristo
59. La trasfigurazione della Chiesa, giunta al termine del suo pellegrinaggio, che Cristo risorto opererà, non elimina assolutamente il destino personale di ciascuno, al termine della propria vita. Ogni uomo, trovato degno davanti al tribunale di Cristo, per aver ben usato con la grazia di Dio del suo libero arbitrio, avrà la felicità. (80) Egli sarà reso simile a Dio, perché lo vedrà come è. (81) Il dono divino della beatitudine eterna è l’esaltazione della più alta libertà che si possa concepire.