«La teologizzazione della politica diventerebbe ideologizzazione della fede»
L’intervento del cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede al convegno “L’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, a Roma, il 9 aprile 2003
del cardinale Joseph Ratzinger
Resisto alla tentazione grande di rispondere alle interessanti osservazioni e riflessioni del senatore Francesco Cossiga, e mi limito ad introdurre la “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, per indicare qual è la posizione di fondo di questo documento che immediatamente parla ai cattolici – perché solo questi hanno una relazione di fede con la Santa Sede – ma che vuol far pensare naturalmente tutti. Secondo Paul Ricoeur far pensare è la cosa più nobile che la filosofia può ottenere, e quindi vogliamo far pensare senza imporre qualcosa. In ogni caso la posizione descritta nel nostro documento si potrebbe riassumere così: per noi, e cioè per la convinzione della Chiesa cattolica di tutti i tempi, la politica appartiene alla sfera della ragione, la ragione comune a tutti, la ragione naturale. La politica quindi è un lavoro che implica l’uso della ragione e va governata dalle virtù naturali, così ben descritte dall’antichità greca, le quattro virtù cardinali: la prudenza, la temperanza, la giustizia, la fortezza.
Questa, diciamo, giusta profanità, o anche laicità della politica, che esclude quindi l’idea di una teocrazia, di una politica determinata dal dettato della fede, esclude, d’altra parte, anche un positivismo ed empirismo che è una mutilazione della ragione. Secondo questa posizione la ragione sarebbe capace di percepire solo le cose materiali, empiriche, verificabili o falsificabili con metodi empirici. Quindi la ragione sarebbe cieca per quanto riguarda i valori morali e non potrebbe giudicarli, perché rientrerebbero nella sfera della soggettività, e non in quella dell’oggettività di una ragione limitata al verificabile, all’empirico, e positivista. Una tale mutilazione della ragione che si limita al constatabile, all’empirico, al verificabile e al falsificabile secondo metodi materiali, distrugge la politica e, come aveva detto il senatore Cossiga, la riduce ad un’azione puramente tecnica, che dovrebbe seguire semplicemente le correnti più forti del momento, sottomettendosi quindi al transitorio ed anche ad un dettato irrazionale. E questo è l’altro impegno del nostro documento: mentre da un lato escludiamo una concezione teocratica ed insistiamo sulla razionalità della politica, dall’altro escludiamo anche un positivismo per cui la ragione sarebbe cieca per i valori morali, e siamo convinti che la ragione ha la capacità di conoscere i grandi imperativi morali, i grandi valori che devono determinare tutte le decisioni concrete.
(C) 30Giorni, N.5 Anno XXI – Maggio 2003