Testo integrale dell’intervista al Card. Ratzinger fatta da Repubblica. Fare attenzione: Sua Eminenza non sta parlando solo del “caso Buttiglione”.
CITTÀ DEL VATICANO – L’Europa, culla e pilastro del cattolicesimo, sta perdendo la sua connotazione cristiana. Già oggi i non praticanti, gli indifferenti e già gnostici sono maggioranza. Per la Chiesa di Roma è una sfida decisiva. Ed è da qui che partiamo nel colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger nella Sala Rossa del Sant’Uffizio. Congregazione per la Dottrina della fede si chiama oggi ed il suo capo è stato e continua ad essere un pilastro del pontificato wojtyliano.
“Viviamo in una situazione di grande trasformazione. Denatalità e immigrazione – ci confida il porporato – mutano anche la composizione etnica dell’Europa. Soprattutto siamo passati da una cultura cristiana ad un secolarismo aggressivo e a tratti persino intollerante. E ciò nonostante, sebbene le chiese si svuotino e tanti non riescano più a credere, la fede non è morta. Sono sicuro che anche nel contesto di una società multiculturale, e fra grandi contrasti, la fede cristiana rimanga un fattore importante, capace di fornire forza morale e culturale al continente”.
Dunque il cardinale Ratzinger non è pessimista?
“Ottimismo e pessimismo sono categorie emozionali. Io penso di essere realista. Resto convinto della forza interiore della fede. Piuttosto il cattolicesimo è diventato sempre più “cattolico”, cioè universale. E mentre altri continenti scoprono il loro modo di essere cristiani e cattolici, l’Europa non sarà più una voce così determinante come in passato. Avrà una grande rilevanza, ma sempre all’interno di un concerto internazionale”.
Dopo l’affare Buttiglione certi gruppi laici e cattolici dipingono un cristianesimo assediato in Europa.
“Esiste un’aggressività ideologica secolare, che può essere preoccupante. In Svezia un pastore protestante, che aveva predicato sull’omosessualità in base ad un brano della Scrittura, è andato in carcere per un mese. Il laicismo non è più quell’elemento di neutralità, che apre spazi di libertà per tutti. Comincia a trasformarsi in un’ideologia che si impone tramite la politica e non concede spazio pubblico alla visione cattolica e cristiana, la quale rischia così di diventare cosa puramente privata e in fondo mutilata.In questo senso una lotta esiste e noi dobbiamo difendere la libertà religiosa contro l’imposizione.di un’ideologia che si presenta come fosse l’unica voce della razionalità, mentre invece è solo l’espressione dì un “certo” razionalismo”.
Ma per lei cos’è la laicità?
La laicità giusta è la libertà di religione. Lo Stato non impone una religione, ma dà libero spazio alle religioni con una responsabilità verso la società civile, e quindi permette a queste religioni di essere fattori nella costruzione della vita sociale”.
Eppure ci sono frontiere delicate. Prendiamo il crocifisso nelle scuole. C’è la tendenza, che trovo banalizzante, di dire che è simbolo di amore universale e quindi non può dare fastidio a nessuno. In realtà è anzitutto il segno di un Dio e di una religione. Non è comprensibile che ci sia chi afferma che non ci può essere un solo segno imposto?
“Dipende dalle situazioni storiche. Possono darsi paesi che non hanno una storia o una presenza cristiana e quindi non vogliono questo segno perché non esprime un’eredità e un orientamento morale comune. Io penso che grazie a Dio l’Italia, e anche parte della Germania, sono ancora così segnate dal loro passato e dal loro presente cristiano che il crocifisso resta per loro un punto di orientamento. La Croce ci parla di un Dio che si fa uomo e muore per l’uomo,che ama l’uomo e perdona. E questa è già una visione di Dio che esclude il terrorismo e le guerre di religione in nome di Dio.
Può darsi che in futuro si perda la sostanza cristiana in un popolo: allora si potrebbe dire che non c’è più questo sentimento comune e magari non si potrebbe più offrirlo negli spazi pubblici. Per me sarebbe un passaggio triste e perciò mi impegno personalmente perché non vada persa questa sostanza cristiana”.
Ma se un ebreo o un musulmano, senza polemiche, chiedono di trovare nella scuola anche un segno della loro fede, è giusto negarlo?
“Si può riflettere sulle condizioni di un simile caso, ponderando bene tutte le differenze che esso comporta. Ma è una questione aperta, dovrei rifletterci sopra in modo più approfondito”.
Non crede che esiste una difficoltà della Chiesa a farsi capire dall’uomo di oggi?
“Non facciamone un’immagine mitica, l’uomo d’oggi è molteplice. E’ assai diverso in America latina, in Africa o in Asia. E anche tra noi ci sono ceti sociali con svariate visioni del mondo. Ma è vero che il cristianesimo ha difficoltà a farsi capire nel mondo odierno, specialmente in quello occidentale: americano ed europeo. Sul piano intellettuale il sistema concettuale del cristianesimo appare molto lontano dal linguaggio e dal modo di vedere moderno. Basterebbe pensare solo alla parola “natura”: come ha cambiato senso! Dobbiamo, senza dubbio, fare il possibile per tradurre questo sistema concettuale in modo che emerga la vera essenza del cristianesimo.
Come descriverla?
“Una storia di amore fra Dio e gli uomini. Se si capisce questo nel linguaggio del nostro tempo, il resto seguirà “.
Basta questo?
“C’è anche la difficoltà ad accettare il cristianesimo dal punto di vista esistenziale. Gli attuali modelli di vita sono molto diversi e quindi l’impegno intellettuale da solo non è sufficiente. Bisogna offrire spazi di vita, di comunione, di cammino. Solo attraverso esperienze concrete e l’esempio esistenziale è possibile verificare l’accessibilità e la realtà del messaggio cristiano”.
Torna a diffondersi la tentazione di rifugiarsi nel sogno di una società organicamente cristiana. Ha senso?
“Certamente no. Era una situazione storica determinata con luci ed ombre, come testimonia anche la storia della Chiesa. Oggi si tende a vedere piuttosto le ombre, ma vi erano anche luci, come rivela la grande cultura medievale. Adesso, rifugiarsi in una situazione non più ripetibile sarebbe assurdo. Dobbiamo accettare che la storia vada avanti, affrontando la difficoltà di credere in un contesto pluralista, ma sapendo bene che vi sono pure nuove possibilità per una fede libera e adulta. La fede non è solo il risultato di una tradizione e di una specifica situazione sociale, ma anzitutto l’esito di un libero sì del cuore a Cristo”.
Dove sta Dio nella società contemporanea?
“E’ molto emarginato. Nella vita politica sembra quasi indecente parlare di Dio, quasi fosse un attacco alla libertà di chi non crede. Il mondo politico segue le sue norme e le sue strade, escludendo Dio come cosa che non appartiene a questa terra. Lo stesso nel mondo del commercio, dell’economia e della vita privata. Dio rimane ai margini. A me sembra invece necessario riscoprire, e le forze ci sono, che anche la sfera politica ed economica ha bisogno di una responsabilità morale, una responsabilità che nasce dal cuore dell’uomo e, in ultima istanza, ha a che fare con la presenza o l’assenza di Dio. Una società in cui Dio è assolutamente assente, si autodistrugge. Lo abbiamo visto nei grandi regimi totalitari del secolo scorso”.
Un grosso nodo è l’etica sessuale. L’enciclica Humanae Vitae ha prodotto un fossato tra magistero e comportamento pratico dei fedeli. E’ ora di rimeditarla?
“Per me è evidente che dobbiamo continuare a riflettere. Già nei suoi primi anni di pontificato Giovanni Paolo II ha offerto al problema un nuovo tipo di approccio antropologico, personalistico, sviluppando una visione molto diversa della relazione fra l’io e il tu dell’uomo e della donna. Vero è che la pillola ha dato il via ad una rivoluzione antropologica di grandissime dimensioni. Non si è rivelata essere, come forse si poteva pensare all’inizio, solo un aiuto per le situazioni difficili, ma ha cambiato la visione della sessualità, dell’uomo e del corpo stesso. E’ stata sganciata la sessualità dalla fecondità e così è cambiato profondamente il concetto della stessa vita umana. L’atto sessuale ha perso la sua intenzionalità e finalità, che prima era sempre stata visibile e determinante, sicchè tutti i tipi di sessualità sono diventati equivalenti. Soprattutto da questa rivoluzione consegue l’equiparazione tra omosessualità ed eterosessualità. Ecco perché dico che Paolo VI ha indicato un problema di grandissima importanza”.
Ecco, l’omosessualità è un tema che riguarda l’amore fra due persone e non la mera sessualità. Cosa può fare la Chiesa per capire questo fenomeno?
“Diciamo due cose. Anzitutto dobbiamo avere un grande rispetto per queste persone, che soffrono anche e che vogliono trovare un loro modo di vivere giusto. D’altra parte, creare ora la forma giuridica di una specie di matrimonio omosessuale, in realtà, non aiuta queste persone”.
Quindi lei giudica negativamente la scelta fatta in Spagna?
“Sì, perché è distruttiva per la famiglia e la società. Il diritto crea la morale o una forma di morale, poiché la gente normale comunemente ritiene che quanto afferma il diritto sia anche moralmente lecito. E se giudichiamo questa unione più o meno equivalente al matrimonio, abbiamo una società che non riconosce più la specificità né il carattere fondamentale della famiglia, cioè l’essere proprio dell’uomo e della donna che ha lo scopo di dare continuità- non solo in senso biologico -all’umanità. Ecco perché la scelta fatta in Spagna non reca un vero beneficio a queste persone: poiché in tal modo distruggiamo elementi fondamentali di un ordine di diritto”.
Eminenza, a volte la Chiesa dicendo no su tutto, è andata incontro a sconfitte. Non dovrebbe essere almeno possibile un patto di solidarietà fra due persone, anche omosessuali, riconosciuto e tutelato dalla legge?
“Ma l’istituzionalizzazione di una simile intesa – lo voglia o no il legislatore – apparirebbe necessariamente all’opinione pubblica come un altro tipo di matrimonio e la relativizzazione sarebbe inevitabile. Non dimentichiamo poi che con queste scelte, verso cui oggi inclina un’Europa – diciamo così – in decadenza, ci separiamo da tutte le grandi culture dell’umanità, le quali hanno sempre riconosciuto il significato proprio della sessualità: cioè che un uomo e una donna sono creati per essere congiuntamente la garanzia del futuro dell’umanità. Garanzia non solo fisica ma morale”.
In definitiva le visioni confliggenti nell’etica riflettono la rivoluzione del soggetto in corso nel mondo occidentale. La nuova soggettività è una sciagura o una sfida per la Chiesa?
“Di per sé la capacità di autodeterminazione può essere una cosa buona. Ma dubito che molti soggetti siano realmente autodeterminati – come oggi si vuol far credere – e non vivano invece un certo uniformismo prefabbricato, magari pensando di realizzare se stessi. L’uomo d’oggi è manipolabile dal mercato, dai media, dalle mode. Vero è che la sfera del soggetto è divenuta molto più grande. Il problema è che oggi la religione e la morale sembrano appartenere solo alla sfera del soggetto. L’oggettività si troverebbe unicamente nelle scienze mentre il resto sarebbe soggettivo. Di conseguenza la religione perde peso nella formazione della coscienza comune”.
E allora?
“Rimane un’acquisizione positiva che il soggetto sia più consapevole della sua libertà e responsabilità, ma è giunto il momento di riconoscere che la libertà umana può vivere solo come libertà condivisa con gli altri. In una responsabilità comune. Soprattutto va capito che l’uomo non crea se stesso: è una creatura con i suoi limiti e con la possibilità di deviare o di trovare la via che corrisponde al suo essere propriamente una persona umana”.
In questo scenario tutto occidentale sta irrompendo l’Islam. Come dovrebbe fronteggiarlo il cattolicesimo?
“Anzitutto l’Islam è multiforme, non è riducibile solo all’ area terrorista o a quella moderata. Esistono interpretazioni diverse: sunniti, sciiti, eccetera. Culturalmente c’è una grande differenza tra Indonesia, Africa o penisola araba e forse si sta formando anche un Islam con una specificità europea, che accetta elementi della nostra cultura. In ogni caso è una sfida positiva per noi la ferma fede in Dio dei musulmani, la coscienza che siamo tutti sotto il giudizio di Dio, insieme ad un certo patrimonio morale e all’ osservanza di alcune norme che dimostrano come la fede per vivere abbia bisogno di espressioni comuni: cosa che noi abbiamo un po’ perso”.
E sul versante critico?
“Si tratta di cogliere anche le debolezze culturali di una religione troppo legata ad un libro considerato come verbalmente ispirato, con tutti i pericoli che ne conseguono. Possiamo offrire il concetto di libertà religiosa ad una religione in cui è determinante la teocrazia, cioè l’inscindibilità tra potere statale e religione. Potremmo mostrare loro che un Dio che lascia più libertà all’uomo, offre nuovi spazi all’uomo e al suo sviluppo culturale”.
Si fa strada la tendenza nei nostri paesi a voler esportare in ogni modo i valori occidentali nel resto del mondo, perché considerati migliori.
“Non dobbiamo imporre e dogmatizzare tutte le nostre idee. Dobbiamo essere consapevoli della relatività di tante nostre forme politiche, religiose, economiche. D’altra parte, dobbiamo lasciare agli altri popoli la possibilità di contribuire alla molteplicità del concerto della cultura umana. Noi cerchiamo di convincere gli altri di cose che ci paiono essenziali, ma ciò deve avvenire nel rispetto, senza imposizioni”.
La Repubblica 19 nov. 2004