«Il problema centrale è la nostra sordità alla voce di Dio. E’ l’agnosticismo che diventa quotidianità, scelta di vita».
Intervista al card. Joseph Ratzinger di Giuseppe De Carli
Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo un’intervista al card. Ratzinger contenuta nel volume di Giuseppe De Carli Eminenza, mi permette? La Chiesa e il mondo raccontati dai cardinali di Papa Wojtyla (edizioni Rai-Eri e Piemme, 2004, 261 pagine, 14,90 euro)
Tratto da: http://www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=243650
Rimane sempre valido il grido pronunciato il 22 ottobre 1978 in Piazza San Pietro: «Non abbiate paura di Cristo. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo». Due altre grandi parole sono «pace» e «unità» e, finalmente, anche la parola «verità». Ecco le encicliche Veritatis splendor e Fides et ratio. È la chiamata ad aprire gli occhi, anche della nostra ragione, per vedere e seguire la verità.
In oltre venticinque anni di pontificato, quello wojtyliano, le difficoltà non sono mancate.
Sono le difficoltà del nostro periodo: materialismo, agnosticismo, relativismo. Da una parte una vita di consumo, dall’altra la miseria che impedisce all’uomo di vivere secondo la sua alta vocazione. I problemi del mondo sono i problemi della Chiesa che fa parte del mondo.
Secondo lei hanno funzionato i Sinodi dei vescovi? L’impressione è che col passare degli anni il centralismo romano abbia prevalso. Non Roma come centro di comunione, piuttosto organo di controllo su una miriade di dettagli della vita delle Chiese locali.
E’ un’impressione un po’ superficiale. Non avremmo neppure l’apparato sufficiente per controllare tutto. Siamo pochi e i vescovi quando vengono da noi, e persino i politici, si meravigliano con quante poche persone lavoriamo per la Chiesa universale. Certamente, qua e là, ci può essere un centralismo sbagliato, ma ciò a cui puntiamo è la collaborazione fra centro e periferia. Le faccio un esempio: quando ero arcivescovo di Monaco feci nel 1977 una «visita ad limina» e mi resi conto della cornice formalistica in cui queste visite venivano vissute. Oggi sono invece occasioni di incontro e questa è una bellissima cosa. Sono occasioni che spesso favoriscono il crescere di amicizie personali.
Lei non vede una partecipazione più ampia delle Conferenze Episcopali nelle decisioni che riguardano la Chiesa universale? Penso al «reclutamento», alla nomina dei vescovi.
E’ una questione da approfondire. Molte Conferenze Episcopali sono grandi Conferenze. Quando una diocesi è senza pastore si cerca il coinvolgimento dei vescovi delle diocesi limitrofe, si interpellano laici, religiosi, sacerdoti. Il sistema di «reclutamento», come lo definisce lei, può sempre migliorare anche se non è semplice. Oggi si nomina un vescovo dopo inchieste abbastanza lunghe e la lunghezza delle procedure, di cui molti si lamentano, dipende dal fatto che si cerca, senza pubblicità, di coinvolgere moltissime persone che hanno nella Chiesa i ruoli più svariati.
Qualcosa però non ha funzionato. Mi riferisco al terribile fenomeno della pedofilia.
Sì, dobbiamo fare un esame di coscienza su quello che è successo. La Chiesa è Chiesa immersa nel mondo con tutte le sue tentazioni. Una serie di malintesi derivanti dal Concilio aveva fatto pensare che sarebbe bastato identificarsi con i comportamenti del mondo.
E di conseguenza?
Molti sacerdoti hanno perso l’ancoraggio alla comunione con Cristo. Ora dobbiamo riflettere su come, da una parte, conservare l’apertura al mondo, cioè essere solidali con i nostri contemporanei e, dall’altra, su come rimanere in profonda comunione con Cristo: solo così si può garantire la possibilità di vivere secondo il Vangelo in questo nostro tempo.
Lei è cardinale da molti anni. Parteciperà forse a un terzo Conclave…
Se sarò ancora vivo!
Il Collegio cardinalizio è al di sopra e al di fuori del Collegio dei vescovi. È un problema per le Chiese orientali. Nel futuro Conclave lei vede solo cardinali?
Non direi che il Collegio cardinalizio è sopra il Collegio dei vescovi perché, a cominciare da papa Giovanni, tutti i cardinali sono vescovi e, gran parte di loro, vescovi di grandi diocesi. Non vedo questa tensione, semmai la difficoltà può riguardare la Chiesa orientale. Ma, nel frattempo, molti patriarchi sono cardinali. Su questo punto si può discutere e valutare se un patriarca, in forza del fatto di essere patriarca, possa partecipare direttamente al Conclave. La tradizione che lega il Papa ai cardinali, che appartengono al clero di Roma, è di per sé una buona tradizione. In relazione agli orientali si può riflettere come migliorare.
Non sarebbe opportuno un Concilio Vaticano III veramente ecumenico con la partecipazione delle Chiese ortodosse? Scusi, eminenza, se sono cadute le scomuniche siamo in comunione.
Si possono scomunicare le persone non le Chiese. La figura delle Chiese scomunicate non esiste. Le persone scomunicate nel 1054 non ci sono più e nell’aldilà non vige il diritto ecclesiastico, si vive nelle mani di Dio! Nel 1965 non si volle togliere scomuniche che non esistevano più, quanto piuttosto purificare la memoria della Chiesa. Con la purificazione della memoria si sarebbe dovuti arrivare all’unità perfetta.
Invece non è stato così.
Purtroppo. I nostri amici ortodossi affermano che in molte cose non siamo all’altezza della loro visione, vedono eresie. Proprio da parte degli ortodossi non riesco a trovare un’opportunità per coinvolgerli in un nostro Concilio. Loro stessi darebbero probabilmente una risposta negativa, quindi rimane la ricerca difficile e impegnata, amorosa e appassionata, di come superare tali impedimenti.
Lei accennava al coinvolgimento dei laici. Mi chiedo, leggendo tanti documenti della Chiesa, dove è andata a finire la categoria di «popolo di Dio».
Forse era male interpretata. Nell’Antico Testamento era il popolo d’Israele, da Cristo in avanti il nuovo popolo è quello dei suoi seguaci. Non è un concetto che di per sé indica una teologia del laicato. Al popolo di Dio, grazie a Dio, appartengono anche vescovi e sacerdoti. La teologia del laicato deve essere ripensata in modo molto realistico.
In che senso?
Nel senso di non clericalizzare i laici. Si pensa che solo i cristiani che gestiscono le cose della Chiesa sono cristiani al 100%. Il problema è invece di come il cristiano può cooperare perché il Vangelo sia lievito del mondo.
Lei, cardinale Ratzinger, ha fatto molto soffrire gli appartenenti alle altre confessioni cristiane non cattoliche durante il Giubileo. La dichiarazione Dominus Iesus è stata giudicata un documento fondamentalista che ha rischiato di tagliare le gambe a ogni dialogo ecumenico. Lo riscriverebbe ancora, oggi?
Sì, certamente. Etichettare un documento come «fondamentalista» è un modo per sottrarsi al dialogo. È una etichetta che non accetto, perché non è giusta. Moltissimi, quasi tutti i protestanti, ci sono stati grati specie per la prima parte del documento, laddove c’è una confessione franca, umile e aperta che Cristo è Figlio di Dio, dunque è diverso da tutte le grandi personalità della storia delle religioni. Ci erano grati perché solo la Chiesa cattolica aveva la possibilità di parlare al mondo, con questa voce, su Cristo.
Il secondo punto, naturalmente, ha presentato delle difficoltà per i protestanti. Vede, la Chiesa non è solo un sogno per domani, è una realtà per l’oggi, ed è bene che una Chiesa pensi di custodire la Persona che l’ha generata.
E ciò nonostante le nostre insufficienze, le separazioni. Tanti vescovi che vengono dai Paesi dove i cattolici sono minoranze ci ringraziano per il coraggio col quale abbiamo affermato la nostra identità. È a partire da una identità ben definita che si può discutere.
Le religioni sono tutte uguali per raggiungere la salvezza, sono tutte complementari alla Rivelazione? Mi dica sì o no.
Il termine complementare non mi piace. Mi meraviglia sempre che anche persone che non si interessano alla salvezza eterna formulino la teoria della convergenza di tutte le religioni…
Una religione vale l’altra?
No, no. Non sono identiche. Con tale fraseologia ci si risparmia dall’impegno di conoscere realmente le religioni. Molti ci invitano a non essere conservatori, tradizionalisti o conformisti e, nel contempo, esaltano il valore della tradizione, dunque la conservazione. Questo è un procedere contraddittorio. Tutti dobbiamo cercare, con le nostre coscienze, quanto è meglio per la salvezza dell’uomo.
Tempo fa ha dichiarato: «Ciò che mi stupisce non è l’incredulità ma la fede. Ciò che mi sorprende non è l’ateo, è il cristiano». Ne è sempre convinto?
Non ho cambiato idea. Il mondo ci consiglia l’agnosticismo. Siamo portati a pensare che siamo troppo piccoli, che la nostra ragione è troppo fragile per poter credere in Dio. Eppure, in un mondo così frammentato e oscuro, milioni di persone continuano a credere. Questo è un miracolo. È il segno che Dio opera in mezzo a noi.
La Chiesa deve insegnare l’arte di vivere bene, l’arte della felicità. «Voi siete il popolo delle beatitudini» ha esclamato il Papa davanti ai giovani riuniti a Toronto. La Chiesa soddisfa però questa sete di felicità, questa sete di infinito che alberga nel cuore dell’uomo?
Non sempre, non sempre in modo sufficiente. Rimane però una fonte. Se uno le si avvicina, accettando anche gli aspetti umani più deboli, può trovare la luce dell’eternità e i segni della felicità.
È Dio che non si fa più sentire o è l’uomo che non è più in grado di ascoltarlo?
Dio qualche volta si nasconde, come si legge nella Sacra Scrittura, e si nasconde per invitarci a cercarlo di più, con maggiore forza. L’uomo, di contro, è troppo occupato in altre cose e diventa quasi sordo e cieco. Dobbiamo liberarci dalle occupazioni inutili e avere un po’ più di attenzione interiore per poter vedere meglio.
Quali sono, secondo il custode della fede cattolica, le più pericolose eresie del nostro tempo?
Il problema centrale è la nostra sordità alla voce di Dio; è l’agnosticismo che diventa quotidianità, scelta di vita. Inoltre, vi è il tentativo di ridurre Cristo a una persona che ha una grande esperienza religiosa. Un Cristo solo umano che non è grande per la sua divinità, ma è grande solo secondo le convenienze del momento.
Quale sarà il futuro del cristianesimo?
Chi può osare rispondere a questo? Il Signore ci assicura che la Chiesa sarà sempre viva fino alla fine del mondo, anche con grande sofferenza, forse molto ridotta. Il Vangelo si domanda: «Quando Cristo ritornerà troverà ancora la fede sulla terra?». Ci saranno molte crisi; d’altra parte sappiamo che l’uomo è sempre aperto a Dio e Dio si fa presente. La Chiesa, come in passato, dovrà subire tante tentazioni, sofferenze, persecuzioni. Rimarrà comunque una fonte di vita, di gioia, una ragione di speranza.
Quando Cristo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?
Qui il Signore parla in forma interrogativa, altri testi della Scrittura, invece, ci dicono che Gesù troverà la fede, troverà la sua Chiesa. La redimerà e redimerà il mondo.