La successione di Pietro

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Un brano tratto dalle pag. 47-52 di: Joseph Ratzinger, La Chiesa, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1992, 2 ed., 146 pagine – ISBN 88-215-2314-4.


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Il principio della successione in generale


Che il Nuovo Testamento, in tutti i suoi grandi filoni di tradizione, conosca il primato di Pietro è incontestabile. La vera difficoltà sorge non appena si pone la seconda domanda: si può fondare l’idea della successione di Pietro? Ancora più ardua è la terza domanda ad essa collegata: si può giustificare in modo credibile la successione romana di Pietro? Per quanto riguarda la prima di queste due questioni dobbiamo anzitutto constatare che nel Nuovo Testamento non c’è un’esplicita affermazione della successione di Pietro. Non ci si deve meravigliare di questo, in quanto i vangeli, così come le grandi epistole paoline, non affrontano il problema di una Chiesa postapostolica; cosa che, del resto, va vista come un segno della fedeltà alla Tradizione da parte dei vangeli.


D’altra parte, nei vangeli è possibile trovare questo problema in un modo indiretto, se si dà ragione al principio metodologico della storia delle forme, secondo cui è stato riconosciuto come facente parte della Tradizione solo quanto nel corrispettivo ambiente della Tradizione venne avvertito come in qualche modo significativo per il presente. Ciò dovrebbe significare, per esempio, che Giovanni, verso la fine del I secolo, cioè quando Pietro era già morto da tempo, non considerò affatto il suo primato come qualcosa di appartenente al passato, ma come qualcosa che restava attuale per la Chiesa. Alcuni credono anzi – forse con un po’ troppa fantasia – di poter scorgere nella “concorrenza” tra Pietro e “il discepolo amato da Gesù” un’eco delle tensioni tra la rivendicazione romana del primato e l’autocoscienza delle Chiese dell’Asia Minore. Ciò sarebbe in ogni modo una testimonianza molto precoce, e per di più interna alla Bibbia, del fatto che si riteneva che la linea petrina continuasse in Roma. Tuttavia noi non dobbiamo in alcun modo appoggiarci su ipotesi tanto incerte.


Mi sembra giusta, al contrario, l’idea fondamentale secondo cui le tradizioni neotestamentarie non rispondono mai a un mero interesse di curiosità storica, ma portano in sé la dimensione del presente e in questo senso sottraggono sempre le cose al mero passato, senza per questo cancellare l’autorità speciale dell’origine


Del resto proprio quegli studiosi che negano il principio della successione hanno poi proposto ipotesi di successione. O. Cullmann, ad esempio, si pronunciò con grande chiarezza contro l’idea di successione; riteneva tuttavia di poter dimostrare che Pietro sarebbe stato sostituito da Giacomo e che questi avrebbe esercitato il primato di colui che in precedenza era stato il primo degli apostoli (18). Bultmann, a partire dalla menzione delle tre colonne in Gal 2,9, crede di poter concludere che da una direzione personale si sarebbe passati a una direzione collegiale e che un collegio sarebbe subentrato nella successione di Pietro (19). Non c’è bisogno di discutere queste e altre ipotesi simili; il loro fondamento è piuttosto debole. Tuttavia si dimostra così che l’idea della successione non può essere elusa, se si considera la parola tramandata davvero come uno spazio aperto al futuro.


Negli scritti del Nuovo Testamento che si collocano nel momento del passaggio alla seconda generazione o che ad essa già appartengono – specialmente gli Atti degli apostoli e le lettere pastorali – il principio della successione assume infatti una forma concreta. La concezione protestante secondo cui la “successione” si trova solo nella Parola come tale, ma non in “strutture” di qualsiasi genere, si rivela anacronistica, sulla base della forma effettiva della tradizione neotestamentaria. La Parola è legata ad un testimone, il quale garantisce la sua inequivocabilità, che essa non possiede come mera Parola affidata a se stessa. Il testimone tuttavia non è un individuo che sussiste per se stesso e in se stesso. Egli è tanto poco testimone da se stesso e per la propria capacità di ricordare, quanto poco Simone può essere roccia con le proprie forze. Egli è testimone non in quanto “carne e sangue”, ma attraverso il suo legame con lo Spirito, il Paraclito, che è garante della verità e apre la memoria. È lui che, dal canto suo, unisce il testimone a Cristo. Infatti il Paraclito non parla da se stesso, ma prende dal “suo” (cioè da quello che è di Cristo: Gv 16,13). Tale legame con lo Spirito e col suo modo di essere – ” non parlerà da se stesso, ma quanto sentirà dire ” – viene chiamato, nel linguaggio della Chiesa, “sacramento “. Il sacramento designa il triplice intrecciarsi di Parola ­ testimone – Spirito Santo e Cristo, che descrive la struttura specifica della successione neotestamentaria. Dalla testimonianza delle lettere pastorali e degli Atti degli apostoli si può desumere con una certa sicurezza che già la generazione apostolica ha dato a questo reciproco intrecciarsi di persona e parola, nella presenza creduta per fede dello Spirito e di Cristo, la forma dell’imposizione delle mani.


La successione romana di Pietro


La figura neotestamentaria della successione, così costituita, nella quale la Parola viene sottratta all’arbitrio umano proprio attraverso il coinvolgimento in essa del testimone, viene molto presto fronteggiata da un modello essenzialmente intellettuale e antistituzionale, che nella storia conosciamo col nome di gnosi. Qui viene innalzata a principio la libera interpretazione e lo sviluppo speculativo della parola. Di fronte alla pretesa intellettuale, avanzata da questa corrente, molto presto non è più sufficiente il rimando a singoli testimoni. Diventarono necessari dei punti di riferimento per la testimonianza, che vennero trovati nelle cosiddette sedi apostoliche, cioè in quei luoghi in cui gli apostoli avevano operato. Le sedi apostoliche diventano i punti di riferimento della vera communio. All’interno di questi punti di riferimento, tuttavia, si dà ancora un preciso criterio, che riassume in sé tutti gli altri (con chiarezza presso Ireneo di Lione): la Chiesa di Roma, in cui Pietro e Paolo hanno sofferto il martirio.


Con essa ogni singola comunità deve essere in accordo, essa è veramente il criterio dell’autentica tradizione apostolica. Del resto Eusebio di Cesarea, nella prima redazione della sua Storia ecclesiastica, ha fatto una descrizione dello stesso principio: il contrassegno della continuità della successione apostolica si concentra nelle tre sedi petrine di Roma, Antiochia e Alessandria, dove Roma, quale luogo del martirio, è ancora una volta, delle tre sedi petrine, quella preminente, quella veramente decisiva (20).


Questo ci porta a una constatazione della massima importanza (21): il primato romano, cioè il riconoscimento di Roma quale criterio della fede autenticamente apostolica, è più antico del canone del Nuovo Testamento, della Scrittura. A tal proposito ci si deve guardare da una quasi inevitabile illusione. La Scrittura è più recente degli scritti da cui è costituita. Per lungo tempo l’esistenza dei singoli scritti non diede ancora luogo al Nuovo Testamento come Scrittura, come Bibbia. La raccolta degli scritti nella Scrittura è piuttosto opera della Tradizione, che cominciò nel II secolo, ma che solo nel IV e V secolo giunse in qualche misura a conclusione. Un testimone insospettabile quale Harnack ha segnalato al riguardo che, prima della fine del secondo secolo, si impose in Roma un canone dei “libri del Nuovo Testamento” secondo il criterio dell’apostolicità e cattolicità, criterio che a poco a poco fu seguito anche dalle altre Chiese, “a causa del suo valore intrinseco e della forza dell’autorità della Chiesa romana”. Possiamo quindi affermare: la Scrittura è diventata Scrittura mediante la Tradizione, di cui fa parte come elemento costitutivo, proprio in questo processo, la “potentior principalitas” della cattedra di Roma.


Son così diventati evidenti due punti: il principio della Tradizione, nella sua configurazione sacramentale quale successione apostolica, fu costitutivo per l’origine e la continuazione della Chiesa. Senza questo principio non è assolutamente possibile immaginare un Nuovo Testamento e ci si dibatte in una contraddizione quando si vuole affermare l’uno e negare l’altro. Abbiamo visto inoltre che a Roma fin dall’inizio venne stabilita e tramandata la lista dei nomi dei vescovi come serie della successione. Possiamo aggiungere che Roma e Antiochia, quali sedi di Pietro, erano consapevoli di trovarsi nella successione della missione di Pietro e che presto nel gruppo delle sedi petrine fu assunta anche Alessandria come luogo dell’attività di Marco, discepolo di Pietro.


Tuttavia il luogo del martirio appare chiaramente come il detentore principale della suprema autorità petrina e gioca un ruolo preminente nella formazione della nascente tradizione ecclesiale e, in particolare, nella formazione del Nuovo Testamento come Bibbia; esso appartiene alle sue essenziali condizioni di possibilità, sia interne che esterne. Sarebbe affascinante mostrare come abbia influito in tutto ciò l’idea che la missione di Gerusalemme era passata a Roma, ragion per cui inizialmente Gerusalemme non solo non fu “sede patriarcale” ma non fu mai neppure sede metropolitana: Gerusalemme risiede ora in Roma e il suo titolo di preminenza si è trasferito, con la partenza di Pietro, nella capitale del mondo pagano (22). Tuttavia una riflessione dettagliata su questo tema ci porterebbe troppo lontano. Penso però che l’essenziale sia diventato evidente: il martirio di Pietro in Roma fissa il luogo dove la sua funzione continua. Questa consapevolezza si mostra già nel I secolo, attraverso la prima lettera di Clemente; anche se nei particolari lo sviluppo è stato naturalmente lento.


 


 


Note


18 Cfr. supra nota 2 (O. Cullmann, Petrus – Junger – Apostel – Martyrer, Zurich, 1952, pp.253 e 259)


19 Die Geschichte der synoptischen Tradition, 1981(2), pp. 147-151; cfr. J. Gnilks, op. cit., p. 56.



20 Questo punto è accuratamente esaminato in v. Twomey, Apostolikos Thronos, Münster 1982.


21 Spero di poter sviluppare e motivare più diffusamente in un futuro non troppo lontano la riflessione sulla successione apostolica che qui di seguito cerco di esporre in maniera oltremodo sintetica. Sono debitore di importanti apporti ai lavori di O. Karrer, specialmente: Um die Einheit der Christen. Die Petrusfrage, Frankfurt 1953; Apostolische Nachfolge und Primat, in Feiner – Trutsch – Bockle, Fragen der Theologie heute, Freiburg 1957, pp. 175-206; Das Petrusamtin der Fruhkirche, in Festgabe J. Lortz, Baden-Baden 1958, pp. 507-525; Die biblische und altkirchliche Grundlage des Papsttums, in Lebendiges Zeugnis 1958, pp. 3-24. Importanti anche alcuni contributi nella Festschrift per O. Karrer: Begegnung der Christen, a cura di Roesle-Cullmann, Frankfurt 1959, qui specialmente K. Hofstetter, Das Petrusamt in der Kirche des 1. und 2., Jahrhunderts, pp. 361-372.


22 Cfr. Hofstetter, op. cit.