Vaticano, Roma 16-18 giugno
Ratzinger al Seminario dei vescovi sui movimenti: due ore di domande. L’avvenimento cristiano di fronte alle sfide del mondo contemporaneo. Appunti delle risposte del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede è stato protagonista per due ore di un vivace dibattito nel tardo pomeriggio del 16 maggio, al Seminario organizzato dal Pontificio Consiglio per i laici su: “Movimenti ecclesiali e nuove comunità nella sollecitudine pastorale dei vescovi”, in corso a Roma fino a sabato 22 maggio, a un anno dall’incontro del Papa coi movimenti che radunò mezzo milione di persone. Il cardinale Ratzinger ha risposto a domande che gli sono state rivolte da un’assemblea di oltre cento vescovi e cardinali di tutto il mondo. Eccone una sintesi
Provocato da S.E. monsignor Stanislaw Rylko (segretario del Consiglio per i laici) circa la sua personale esperienza con i movimenti, Ratzinger ha ricordato che i suoi primi contatti risalgono alla metà degli anni ’60. Ha parlato dell’incontro coi Neocatecumenali che rimettevano al centro il “Battesimo, il sacramento assai dimenticato nella Chiesa, mentre è il fondamento della nostra fede, in un tempo in cui la famiglia e la scuola sono sempre meno una iniziazione alla fede”; e di come alla fine degli anni ’60 abbia conosciuto Comunione e Liberazione: “Abbiamo trovato don Giussani e i suoi nelle università; nell’epoca della rivoluzione marxista non rispondevano in forma reattiva o con un atteggiamento conservatore, ma con una rivoluzione più fresca e più radicale, quella della fede cristiana”; e ancora dell’incontro col Rinnovamento nello Spirito: “Ho così avuto la gioia e la grazia di vedere giovani cristiani toccati dalla forza dello Spirito Santo”. “In un momento di fatica nel quale si parlava di “inverno della Chiesa”, lo Spirito Santo creava una nuova primavera. Era una risposta anche di fronte a due esperienze negative vissute in Germania: nel mondo accademico, dove la teologia si allontanava sempre più da una fede entusiasta, per essere totalmente uguale alle altre discipline, diventando così “freddamente scientifica”, ridotta a fenomeno di oppressione della fede da parte di una ragione unilaterale; e una crescente burocratizzazione della Chiesa”.
Il dialogo è, poi, proseguito con le domande dei vescovi.
Si va verso una istituzionalizzazione dei movimenti?
Questo è accaduto anche in passato. Pensiamo al monachesimo o al francescanesimo. Una certa struttura è essenziale per un effetto più ordinato e una integrazione nella vita della Chiesa. Ma bisogna stare attenti che l’istituzionalizzazione non diventi una corazza sulla vita; occorre che l’elemento istituzionale non spenga lo Spirito.
Che relazione c’è tra la dimensione istituzionale e quella carismatica?
I vescovi non sono solo istituzione. Senza la dimensione carismatica non si può essere buon vescovo. Sono essi che hanno la grazia per discernere i carismi autentici. L’ultimo giudizio è quello del vescovo, nella comunione con il corpo episcopale e con il Santo Padre. Ma si suppone che il vescovo senta la responsabilità di non spegnere lo Spirito, ma abbia il discernimento. E il suo compito è di discernere e aiutare i movimenti a purificare quanto è necessario. Perché se la fonte è lo Spirito Santo, poi le concretizzazioni sono umane, comportano l’elemento umano. I vescovi hanno dunque il compito di discernere per aiutare i movimenti a trovare la strada giusta per la pacifica unità e di aiutare i parroci ad aprirsi, a lasciarsi sorprendere da queste forme suscitate dallo Spirito.
E che rapporto tra parrocchie e movimenti, tra parrocchie e comunità di persone?
Occorre salvaguardare l’unità dei fedeli che sono una sola Chiesa e non molte Chiese. È molto importante tenere viva la coscienza di essere parte di un’unica Chiesa, cosicché i fenomeni che sorgono siano al servizio dell’unica Chiesa in cui trovano spazio tutti. Il cristianesimo non è un gruppo di amici che si separano, ma uomini trovati dal Signore: cioè fratelli. Accettare i fratelli perché uniti dall’unica fede, anche se non piacciono, è elementare.
Quarant’anni fa esisteva una cultura cattolica che sosteneva la fede, ma ora è stata distrutta. Che cosa fare?
Dopo il ’68 c’è stata un’esplosione di secolarismo che ha radicalizzato un processo in corso da duecento anni: il fondamento cristiano è diminuito. Pensiamo al fatto che fino a quarant’anni fa era impensabile una legislazione che trattasse un’unione omosessuale quasi come un matrimonio. Ora dobbiamo riformulare le nostre ragioni per arrivare di nuovo alla coscienza dell’uomo di oggi e dobbiamo accettare un conflitto di valori per cui dobbiamo difendere l’uomo, non solo la Chiesa, come ha scritto il Papa in molte sue encicliche. Di fronte alla secolarizzazione, per essere contemporanei all’uomo d’oggi non bisogna tuttavia perdere la contemporaneità con la Chiesa di tutti i tempi. Per questo occorre avere una identità di fede molto chiara, ispirata da una gioiosa esperienza della verità di Dio. E così torniamo ai movimenti, che offrono questa gioiosa esperienza. I movimenti hanno questa specificità: in questa società di massa, aiutano a trovare, in una Chiesa che può apparire come una grande organizzazione internazionale, una casa dove si trova la familiarità della famiglia di Dio e nello stesso tempo si rimane nella grande famiglia universale dei santi di tutti i tempi. Nel nostro tempo notiamo una certa prevalenza di spirito protestante in senso culturale, perché la protesta contro il passato sembra essere moderna e rispondere meglio al presente. Per questo, da parte nostra, occorre fare vedere che il cattolicesimo porta l’eredità del passato per il futuro, anche se lo fa controcorrente in questi tempi.
E quando, come è accaduto in America Latina, la teologia era più importante della fede e la militanza politica era più forte dell’esperienza della contemporaneità di Cristo?
Se non si considerano più come una realtà Dio e quindi la fede, si riduce la vita umana, creando odio e contrapposizione. Quando viene scartato Dio, viene amputato l’uomo. Se ritroviamo una vera fede che è l’incontro con Dio, tutto è ispirato da questo centro vivo e provoca anche l’impegno sociale, fa opera sociale.
Quale presenza dello Spirito fuori della Chiesa?
Ne parla il Concilio e anche i Padri della Chiesa. Vediamo che fuori della Chiesa Dio non è assente. Dio non dimentica nessun luogo, nessuna cultura. Vediamo che rinasce il senso di Dio, della responsabilità dell’altro, l’amore dell’altro. Nelle religioni questi elementi sono presenti. Nel cristianesimo abbiamo la pienezza degli elementi della fede, ma non esclude che elementi importanti siano presenti altrove. C’è un’apertura del cuore umano. Come vescovi dobbiamo impegnarci a non mostrare solo il lato giuridico istituzionale, ma anche il lato del mistero che continua l’umiltà del Signore che si degna di essere presente come voce viva, presenza viva. Nel mondo c’è desiderio di una voce che non parli per sé, ma in nome della fede in Dio, che obbedisca alla presenza di Dio nel mondo: il Papa è questo, continua l’umiltà del Signore che parla con strumenti, come siamo noi, che possono essere inadeguati.
E l’annuncio cristiano in Paesi dove può provocare guerre di religione o violenze?
Dobbiamo testimoniare il Signore Redentore che vince solo per la forza della convinzione provocata da una testimonianza.
Il 30 maggio 1998 si è conclusa la prima fase della storia dei movimenti, quella in cui si trattava di fare spazio ad essi da parte della realtà istituzionale della Chiesa. Ora siamo nella seconda fase, quella del riconoscimento dell’unità sostanziale delle realtà carismatiche e dell’istituzione; quando il Papa dice che “la Chiesa stessa è movimento”, che cosa vuol dire per noi vescovi?
Il vescovo diventa meno monarca e più pastore di un gregge; sta faccia a faccia col gregge ed è pellegrino coi pellegrini, come diceva sant’Agostino: siamo tutti discepoli alla scuola di Cristo. Pur rimanendo rappresentante del sacramento, il vescovo diventa più un fratello in una scuola in cui c’è un solo padre e un solo maestro. Garantisce che la Chiesa non è un mercato, ma una famiglia. Identifica la Chiesa particolare e la Chiesa universale. Non è la fonte del diritto e della legge, ma agisce come guida e come testimonianza di unità nel contesto della familiarità della Chiesa con un solo maestro. Occorre perciò evitare il pericolo di una sovraistituzionalizzazione: i tanti “Consigli”, pur utili, non possono essere come un gruppo di governo che complica la vita dei fedeli e fa perdere il contatto diretto dei pastori con essi. Come mi raccontò un giorno una persona: “Io vorrei parlare col mio parroco, ma mi dicono che è sempre in riunione!”. Si deve trovare una collaborazione con tutti i componenti del popolo di Dio, affinché ci sia un’unità più ricca.
La Chiesa sarà sempre più minoranza? E quale l’importanza dei movimenti?
Lo sviluppo degli ultimi cinquant’anni mostra che la religiosità non scompare, perché è un desiderio ineliminabile del cuore dell’uomo. Bisogna, però, che non sia guidato male, perché allora sorgerebbe una patologia religiosa. Per questo abbiamo la responsabilità di offrire la risposta vera, e questa è una responsabilità storica della Chiesa in questo momento in cui la religione può diventare una malattia che non offre il volto di Dio, ma elementi sostitutivi che non guariscono. Anche se minoranza, la priorità per noi è quella dell’annuncio. In Occidente le statistiche parlano di una riduzione del numero dei credenti; viviamo un’apostasia della fede, quasi si dissolve l’identità tra la cultura europea-americana e la cultura cristiana. La sfida oggi è che la fede non si ritiri in gruppi chiusi, ma che illumini tutti e parli a tutti. Pensiamo alla Chiesa dei primi secoli: i cristiani erano pochi, ma hanno suscitato ascolto, perché non erano un gruppo chiuso, ma portavano una sfida generale per tutti che toccava tutti. Anche oggi abbiamo una missione universale: rendere presente la vera risposta all’esigenza di una vita corrispondente al Creatore. Il Vangelo è per tutti e i movimenti possono essere di grande aiuto perché hanno lo slancio missionario degli inizi, pur nella piccolezza dei numeri, e possono incoraggiare la vita del Vangelo nel mondo.